Attualità

Il tifo violento a Roma: ecco cosa è accaduto

di Angelo Vitale -

Un frame degli scontri nei pressi dello stadio Olimpico in occasione del derby tra Roma e Lazio (foto Ansa)


Tifo organizzato e tifo violento, tifo infiltrato: come negli ultimi mesi a Milano, le vicende collegate agli ultras del calcio da ieri occupano le cronache non solo sportive per i fatti accaduti ancor prima della partita nella Capitale durante la giornata domenicale e che oggi, come L’identità ha scritto, stanno pure riproponendo la necessità di una svolta ancora più incisiva e accorta, non solo sul piano della sicurezza, ma pure riguardo ai riflessi che hanno su essa le dinamiche dell’organizzazione degli eventi sportivi, da tempo unicamente condizionati a logiche di spettacolo e di mercato.

A Roma gli scontri non sono stati occasionali e legati, come spesso accaduto ovunque in Italia, al diretto inizio o svolgimento della partita, ma sono scoppiati fin dalle ore 16.30 a Ponte Milvio e in via Flaminia, coinvolgendo circa 500 tifosi romanisti, molti con il volto coperto, e gruppi di tifosi laziali. I tifosi hanno lanciato bottiglie, sassi, chiavi inglesi e – ripetutamente – bombe carta contro le forze dell’ordine, danneggiando auto e semafori, in particolare gli ultras laziali hanno tentato di forzare i blocchi di sicurezza, costringendo la polizia a cariche, lacrimogeni e idranti. Tredici agenti sono stati feriti, mentre venivano distrutti i cassonetti e danneggiate le auto nell’area. Nonostante l’uso di telecamere e i previsti pattugliamenti, le forze dell’ordine intervenute con l’impiego di blindati, elicotteri e unità specializzate per disperdere gli assembramenti, sono state colte in contropiede dalla simultaneità degli attacchi, sfavorite anche da un dispositivo di controllo che è stato reso inefficace dai blocchi stradali e dagli autobus fermati, nonché dalla scelta degli ultras di sfruttare vie alternative per radunarsi: i gruppi romanisti e laziali hanno dimostrato una precedente pianificazione logistica, spostandosi in massa verso zone strategiche come Ponte Milvio e utilizzando punti di raccolta predefiniti per radunarsi.

Una sommaria analisi dei fatti ha confermato che i gruppi organizzati operano con gerarchie interne e una rete di sostegno logistico, la ripetizione di episodi violenti, con il lancio di esplosivi artigianali e una serie di danneggiamenti, ha evidenziato una struttura semi-clandestina che gli investigatori ritengono possa continuare ad avere legami con frange estremiste o con gruppi della criminalità romana che hanno affinità di intervento e di capacità di movimento con quelli della criminalità organizzata con i quali condividono il controllo di varie attività.

Non pochi, fino ad oggi, gli episodi e i fatti che hanno fotografato le tifoserie organizzate della Lazio e della Roma come infiltrate da reti criminali con legami a camorra e ‘ndrangheta, oltre che da ambienti dell’estrema destra violenta della Capitale. Fabrizio Piscitelli, Diabolik, assassinato nel 2019, era un leader storico storico e riconosciuto della Curva Nord Lazio e aveva rapporti con il clan camorrista di Michele Senese per la gestione dei traffici di droga.

Figure come Claudio Corbolotti, Franco Costantino (legati a frange neofasciste) e Alessandro Morgelli (detto “il Cinese”) hanno sempre mantenuto legami con la criminalità organizzata, E le indagini hanno riferito di contatti con esponenti calabresi per il controllo di attività illecite, incluso il bagarinaggio.

Le curve romane sono storicamente legate a ambienti neofascisti, i cui esponenti sono spesso stati coinvolti in attività illecite. Non infrequenti i casi di estorsione, casi come quello di Rosario Piacenti, degli Irriducibili della Lazio, hanno dimostrato l’uso palese di metodi mafiosi per intimidire società e giocatori. E molti sono stati gli episodi in cui i gruppi ultras, in maniera pubblica e non solo allo stadio, sono stati coinvolti nella diffusione di simboli razzisti e antisemiti.


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