Editoriale

Il senso della (dis) misura

di Adolfo Spezzaferro -


Una tendenza (il famoso cattivo esempio che fa sempre più presa di quello buono) ampiamente importata in Italia dove è fiorita a suo modo, con le debite proporzioni. Ecco, in effetti ci sono due verità banali e banalizzate che ritornano eternamente nei discorsi, sia quelli profondi, mirati, sia nelle chiacchiere da bar. “L’uomo è misura di tutte le cose” e “La mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro”. Spesso, nell’epoca dei social, ci imbattiamo in questi due concetti, magari a corredo di foto al mare o in bagno (ma questo è un altro problema). E tutti li diamo per assodati, per buoni. Tuttavia – qui casca l’asino – sono due verità complementari a patto che siano legate a doppio filo da un concetto cardine: il senso della misura. Oggi sempre di più ci imbattiamo in discorsi, posizioni, personaggi vari, fino ai potenti del mondo che sono la dimostrazione palese del fatto che si sia smarrito il senso delle proporzioni.

Se l’uomo è misura di tutte le cose, per esserlo coscientemente deve avere coscienza della misura, di cosa sia il limite. Questa parola non è brutta e cattiva, ma è bella e buona. Il limite è anche un confine. Tanti amano definirsi cittadini del mondo, appartenenti alla tribù umana universale, al di là di fede, razza, idee politiche, conto in banca, gusti sessuali. Tutto bellissimo, per carità. Ma la condizione necessaria e sufficiente per fare i cosmopoliti senza apparire degli scappati di casa è riconoscere i propri limiti – che poi sono i confini delle nazioni, altro che villaggio globale. Così come essere coscienti di chi siamo – l’identità (che coincidenza… è la nostra testata in versione 7). Senso della misura, delle proporzioni, dello spazio occupato o acquisito in virtù di chi siamo e cosa facciamo nel mondo dei social, che però si è perso quasi del tutto. Perché oggi ormai anche l’ultimo degli influencer deve sparare a zero su qualcuno, come se fosse uno dei grandi odiatori di professione, che si arricchiscono proprio scatenando shit storm sul malcapitato di turno. La sensazione diffusa è che tanto sui social non è vera violenza, anzi, fa tendenza. Con la battuta giusta, con l’ammiccamento che fa scattare l’identificazione, il transfert, gli “spettatori” (che poi in verità sono utenti) se la ridono. A dismisura.


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