Il sabato del villaggio a Irpin, Buca e Borodjanka
Il sabato del villaggio a Irpin, Buca e Borodjanka
di FRANCESCO NICOLA MARIA PETRICONE *
Percorriamo la strada statale E373, da Vyshhorod a Borodjanka, quando sono da poco passate le nove del mattino di sabato. Abbiamo appena assistito alla Messa celebrata da padre Taras nella Cattedrale di Santa Maria di Vyshhorod, dove è parroco. Un caffè e una fetta dell’ottima torta meringa e limone da Yakava e ci dirigiamo verso Borodjanka. Sul percorso
ci fermiamo nella scuola locale per visitare il bunker antimissili che l’amministrazione del paese sta completando per consentire agli studenti di riprendere le lezioni in presenza.
“Fino a quando non è completamente funzionale – mi spiega Artem, consigliere della locale amministrazione comunale – non possiamo far venire gli studenti, sarebbe troppo pericoloso”. Anche qui, infatti, i filmati delle telecamere a circuito chiuso, posizionati sulla canonica di padre Taras, registrano ancora missili balistici degli aggressori scagliati contro
obiettivi civili. Lungo la strada per Borodjanka attraversiamo quelli che una volta erano campi coltivati. Ora, invece degli agricoltori, giovani pescatori locali gettano le lenze nel lago artificiale creatosi dopo l’esplosione della diga di Damba Na, fatta saltare dagli ucraini il 25
febbraio per fermare l’avanzata dell’aggressore.
Arriviamo a Irpin, attraversando la stessa strada percorsa venti mesi fa dai cingolati russi. Nella chiesa della Natività della Beata Vergine Maria ci aspetta il parroco, padre Myroslav, con le donne, madri, mogli, figlie dei
soldati morti durante l’aggressione. Intorno al tavolo, disegnano con matite colorate fiori, alberi, cieli azzurri. “E’ la terapia che seguiamo per aiutarle a superare la tragedia della guerra” ci dice padre Myroslav. Anche loro siedono con le vicine, in questo sabato del villaggio di guerra, gli occhi ancora, sempre troppo gonfi di lacrime.
Con padre Vitalij risaliamo in macchina e ci dirigiamo nel luogo dove sono accatastate le auto dei civili, crivellate di colpi di mortaio e proiettili, o fatte esplodere per divertimento dai cecchini russi. È dipinto sulle fiancate lo slogan “flowers for hope” e su alcune di loro sono appoggiati
piccoli peluche. Il segno che dentro c’erano dei bimbi inermi, trucidati insieme ai loro papà e alle loro mamme, nel tentativo di fuggire. Poco lontano da qui, il cimitero di Irpin è un viavai di macchine in processione. Oggi è sabato, non si lavora, e ci si dedica a adornare le tombe di
fiori freschi. Dieci, cento, mille, una distesa di nuove lapidi, sotto il giallo e il blu delle bandiere che sventolano sotto una brezza leggera di tarda mattinata.
Ci spostiamo a Buca e troviamo la stessa atmosfera. Nel sacrario, dietro la chiesa ortodossa, si prega di fronte alle placche di metallo che ricordano i caduti, accatastati all’inizio in una fossa comune. Proprio come quelli della Prima e della Seconda guerra mondiale. Qui però l’ultimo giorno di vita è
ieri, l’altro ieri, un mese fa. Giovani vite di dieci, tredici, sei anni, spezzate senza alcuna pietà dall’aggressione russa non provocata.
Torniamo verso Kyiv e ci fermiamo a Myla, un sobborgo a pochi chilometri dalla capitale. È pomeriggio ormai e il sabato del villaggio trascorre qui in un centro di volontarie che intessono reti mimetiche per mezzi corazzati, trincee, soldati. Ci sono mediche, professoresse, tecniche informatiche che impiegano il fine settimana così, per dare anche loro il contributo alla vittoria finale. E gli stessi filati intrecciano altre volontarie nel ‘Punto di invincibilità’ della parrocchia di Santi Borys i Hlib. “Dicono che li stanno preparando per gli F-16, professore!” scherza padre Taras. Sorrido
anche io, in questo ennesimo sabato di guerra, e li saluto. Con un groppo forte che mi stringe la gola.
(3. Fine – I precedenti articoli sono stati pubblicati il 3 e il 5 ottobre 2023)
*Professore ordinario di Sociologia dei fenomeni politici e giuridici,
titolare della cattedra di Studi Globali e Regionali
nella facoltà di Scienze Politiche e internazionali della LUMSA Università.
È il consigliere per le politiche sociali del Presidente del Consiglio.
Le opinioni espresse nell’articolo sono personali.
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