IL QUADRATO MAGICO – Sanremo riaccende la nostalgia per la Tv
“Perché Sanremo è Sanremo!” sentenziava un vecchio jingle definitivo. Lo abbiamo canticchiato in testa per decenni, ed in effetti era perfetto per descrivere quella febbre inarrestabile che stravolge l’Italia nella settimana del Festival. Un po’ come i bambini che quando gli chiedi ragione di un loro rifiuto rispondono “perché no!”, così “Sanremo è Sanremo” chiudeva ogni possibile discussione, e ci metteva di fronte ad una realtà inoppugnabile: durante Sanremo l’Italia si ferma. Durante Sanremo la TV diventa improvvisamente sovietica e parla di un solo argomento, tutti i canali che non sono Rai 1 avranno in quella fascia oraria ascolti magri come dopo le peggiori carestie, e chiunque faccia un qualunque lavoro sa che di Sanremo se ne parlerà in ufficio, al bar, in piazza, in metro, sui giornali, in parrocchia, sui social, ovunque. Sanremo è il trionfo della TV, ed è quella stessa TV generalista che ha perso peso e appeal negli ultimi anni -incalzata dai social, dall’immediatezza, dalle pay e da piattaforme globali come Netflix- che per una settimana non solo si riprende la scena, ma domina la discussione staccando ogni altro concorrente. Il passaggio da Amadeus a Carlo Conti non ha portato alcun calo di ascolti, anzi: le polemiche e gli infiniti dibattiti su tutto (look, rivalità, stile, andatura, e pure le canzoni ma quasi come argomento secondario) hanno impazzato ovunque, e anche noi siamo stati al gioco con le pagelle sui look e il concorso per il verso più bello. Grazie a Sanremo è la TV ad invadere gli altri mezzi e non viceversa, come accade molto spesso. In questa settimana non assistiamo però soltanto ad una sorta di rivincita, che in qualche modo fa piacere a chi è nato e cresciuto quando la TV dominava su tutti i media, ma ad un singolare fenomeno di appiattimento e quasi di “obbligo sociale” a seguire il festival, parlarne, scriverne, partecipare in qualunque modo. E questo è meno piacevole, come tutti gli obblighi. Quando appunto la TV era più centrale, e il festival lo conducevano volti storici come Pippo Baudo o Mike Bongiorno, c’era una fascia di italiani che legittimamente non lo guardava, non ne parlava, per certi versi lo snobbava orgogliosamente. Ricordo a memoria un titolo (ma ahimè non ne rammento la testata: l’età inizia a farsi sentire) che recitava “Due italiani su tre guardano il festival: poverini!” e che venne contestato proprio da Baudo in un dibattito con la stampa che fungeva allora da dopofestival. Di quella dicotomia persino allegra fra chi il festival lo seguiva e chi se ne fregava bellamente, ho una certa nostalgia. Ho nostalgia di Sergio Caputo che cantava “la radio mi pugnala con il Festival dei fiori”, e di quella TV che era più autorevole, più garbata, più pronta ad approfondire per 365 giorni l’anno. Mi piaceva più della TV di oggi che domina solo nella settimana di Sanremo imponendo a tutti di appiattirsi sul festival senza via di scampo. Non so se in fondo ho nostalgia di quella TV o di quell’Italia, so però che quando arriva la nostalgia, un ricordo legato alla TV ce lo abbiamo tutti, sempre. E non è un caso.
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