Il patto delle due Libie
Le due facce della Libia, quella istituzionale, che tende all’unità nazionale, e quella criminale, che punta a destabilizzare l’Occidente. La partita si gioca fondamentalmente sul fattore che nessuno Stato, tanto più se opera in solitaria, è in grado di controllare: il traffico di esseri umani. Un business per gli scafisti ormai da molti anni, che oggi, però, si è trasformato nell’arma di ricatto dei russi contro i Paesi che si sono permessi di schierarsi con l’Ucraina nella guerra di Vladimir Putin. Tra questi c’è l’Italia, che fin dalle prime fasi dell’invasione ha preso la netta posizione in linea con la Nato e ha “marciato” spedita con gli Stati Uniti per quella che, idealmente, è una battaglia per la libertà. Nonostante le ombre sulle posizioni filoputiniane della Lega e l’amicizia di Silvio Berlusconi con lo Zar, la premier Giorgia Meloni è riuscita a mantenere un atteggiamento trasparente con gli alleati. Il risultato è stata un’invasione di migranti sulle nostre coste, dove, in soli quattro mesi, sono arrivate 42.405 persone, quasi il quadruplo di quelle che sono state accolte in Italia in tutto il 2022. A spingere sulle partenze da Tripoli ci sono i miliziani libici e quelli sudanesi, addestrati dai servizi segreti italiani e poi alleatisi con la Brigata Wagner, agli ordini di Putin. Un fiume umano che si riversa in Libia attraversando i paesi dell’Africa subsahariana e che, con la speranza di un futuro migliore, è disposto a pagare fino a 8mila dollari per tentare la traversata per la porta dell’Europa. È proprio sui flussi migratori, e su i possibili accordi volti ad arginare il fenomeno, che ieri si è concentrato l’incontro a Palazzo Chigi tra la premier Meloni e il generale libico Khalifa Haftar, l’ex ufficiale dell’esercito di Gheddafi che controlla la Cirenaica, la regione dove si registra il maggior numero di partenze, e che, nonostante non ricopra un ruolo istituzionale, ha un’influenza militare e politica molto importante nel Paese. Tanto che, ormai da mesi, ha messo in atto politiche di collaborazione con gli altri Paesi per tentare di epurare la Libia. Non è un mistero che uno dei principali obiettivi del comandante dell’esercito nazionale sia quello di cacciare dai territori i mercenari russi della Wagner, insidiatisi tra i terroristi e i tagliagole locali dal settembre del 2019. A tale scopo Haftar ha avviato una vera e propria trattativa con gli Stati Uniti e auspica che l’appoggio della Nato possa portare risultati sul lungo periodo, anche se alcuni nodi saranno difficili da sciogliere. Primo tra tutti il ruolo del presidente turco Erdogan, che in Libia ha ben posizionato i suoi 007 e che non ha intenzione di perdere il controllo su Tripoli, cedendo terreno agli americani. Tanto più che il leader turco è uno dei principali interlocutori di Putin e, di fatto, è a fianco della Russia, insieme alla Cina. L’incognita Erdogan, dunque, potrebbe rendere vani gli sforzi del generale per la stabilizzazione. Per questo Haftar mira a “collezionare” più alleati possibili e vede in un accordo con l’Italia una maggiore garanzia di riuscita del suo progetto nazionale. D’altronde è il fine comune a giustificare i mezzi. Nonostante il governo italiano non riconosca formalmente il generale libico, perché i rapporti istituzionali si basano solo con le autorità di Tripoli guidate dal premier Abdul Hamid Ddeibah, Giorgia Meloni è granitica nell’attuazione del Piano Mattei per l’Africa e ha intenzione di tentarle tutte, pur di contenere l’invasione epocale che si prospetta inesorabile. Non solo per la situazione della polveriera libica, ma anche per gli altri scenari di crisi che si sono aperti nel continente africano. Principalmente in Tunisia, a un passo dal default dopo la decisione del Fondo monetario internazionale, che a dicembre scorso ha congelato il prestito da 1,9 miliardi di dollari promesso al presidente Kais Saied in cambio di politiche di austerità, mai portate a termine. E ancora il Sudan, dove i signori della guerra hanno scatenato un conflitto che sta provocando una fuga di massa dal Paese, finito anch’esso nelle mani dei mercenari russi, malgrado gli sforzi dei nostri 007, che hanno lavorato per mesi offrendo aiuto militare e strategico al generale sudanese Mohamed Dagalo, leader del Rapid Support Forces, proprio con lo scopo di contenere i flussi migratori. Ma la missione si è rivelata un boomerang: mentre il gruppo paramilitare di Dagalo veniva equipaggiato di armi e addestrato da funzionari dello Stato italiano, si alleava in segreto con la Brigata Wagner, ovvero con i russi al soldo di Putin, senza che l’intelligence se ne accorgesse. E ormai la situazione è sfuggita completamente di mano e i territori sono fuori controllo. La stessa premier Meloni, nell’incontro di ieri, non ha infatti esitato a esprimere ad Haftar preoccupazione per la condizione del Sudan. Anche alla luce delle voci che circolano da tempo e che vedrebbero il generale libico sospettato di appoggiare Dagalo nel conflitto scoppiato a Khartoum. Più di un’ipotesi, visto che perfino l’Egitto guidato dal presidente al-Sisi, al quale Haftar è molto vicino, ha intimato al generale della Cirenaica di tenersi lontano dagli scontri in Sudan. Due ore di colloquio, durante le quali è stato fitto lo “scambio su alcuni temi fondamentali di reciproco interesse, in particolare la crescita senza precedenti del fenomeno migratorio verso l’Italia”, hanno fatto sapere fonti di Palazzo Chigi. Che non ha indugiato nel ribadire l’appoggio dell’Italia al piano di riconciliazione, il progetto dell’Onu che dovrebbe portare la Libia al voto entro la fine del 2023. D’altra parte la stabilizzazione dell’Africa è un tassello fondamentale nello scacchiere del Mediterraneo, attraverso il quale si consuma l’invasione dei migranti. Nel più totale immobilismo dell’Europa, sempre prodiga con le parole, soprattutto di biasimo, ma inerte con i fatti.
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