Il patriarcato e il volo militare che non vale per Saman
Dopo il patriarcato, il polverone per l’aereo militare, mentre gli italiani vogliono la pena di pena di morte. E Giulia Cecchettin, la vittima, che scivola sullo sfondo di polemiche strumentali, ridotte a propaganda di fronte alle foto dei banchi vuoti in Senato nel giorno della votazione del Codice Rosso rafforzato. Persino faziose alla luce di tutti gli altri casi per cui non si è mai scandalizzato nessuno. E irrilevante rispetto a temi seri, come la barbara voglia di vendetta che emerge da un sondaggio di Affari Italiani, secondo cui il 42,1 per cento dei cittadini è favorevole alla pena di morte se la colpevolezza degli assassini è certa.
L’ultima disputa sull’omicidio di Vigonovo si è aperta alla notizia che l’assassino Filippo Turetta sarà estradato dalla Germania con un volo di Stato che lo riporterà in Italia per il colloquio con i magistrati di Venezia e il carcere. Una sorta di privilegio per i commentatori seriali, l’ennesima gentilezza verso l’uomo bianco figlio della cultura dello stupro che avrebbe potuto viaggiare ammanettato su un aereo di linea in mezzo ai turisti o direttamente con un cellulare dal carcere di Halle. Polemiche prive di fondamento.
Non solo perché la scelta del volo militare è legata a una questione di sicurezza, sia per l’incolumità dell’arrestato, odiato dagli italiani, sia per quella dei viaggiatori, visto che Filippo, nelle ultime ore, ha cambiato il suo atteggiamento in cella, passando da uno stato d’animo assente a un’aggressività manifesta. Inoltre Turetta è solo l’ultimo di una lunga lista di criminali che l’Italia è andata a prendere all’estero con i velivoli dell’Aeronautica militare. Prima di lui, giusto il primo settembre scorso, un Falcon 900 è atterrato a Ciampino per Shabbar Abbas, estradato dal Pakistan per l’omicidio della figlia Saman, uccisa a Novellara nella notte tra il 30 aprile e il Primo maggio 2021, nel corso di un’imboscata della famiglia che non accettava la libertà della ragazza, desiderosa di vivere all’Occidentale.
In quell’occasione non ci fu alcuna polemica per il volo di Stato, anzi l’arrivo di Shabbar passò del tutto inosservato. Tantomeno si cavalcò la polemica del patriarcato, che in quel caso è davvero alla base del movente. Stesso scenario il 14 gennaio 2019, quando alle 11.30 il Falcon 900 del Governo italiano, decollato da Santa Cruz in Bolivia, toccò la pista di Ciampino presidiata dalle forze dell’ordine. Super scortato, scese dalla scaletta Cesare Battisti, la primula rossa del terrorismo, latitante da 38 anni.
E che dire del rientro in pompa magna di Silvia Baraldini, l’icona di quella sinistra da salotto acclamata perfino in una canzone di Francesco Guccini? Dopo 16 anni in un carcere statunitense per associazione sovversiva, ottenne di scontare il resto della pena nelle patrie galere ed arrivò con un volo di Stato, sempre a Ciampino, il 24 agosto 1999, con un cerimoniale per acclamazione che culminò nella scarcerazione anticipata solo due anni dopo, in barba alle rassicurazioni fornite agli Usa che oggi si guardano bene di concedere il bis con Chico Forti.
Nessuna polemica neppure per il boia di Bolzano, Michel “Misha” Seifert, l’ex criminale di guerra nazista condannato all’ergastolo per undici omicidi, compiuti nel Lager di via Resia tra il 1944 e il 1945, e che torturò il presentatore Mike Bongiorno, catturato con l’accusa di aver fatto parte della Resistenza. Il boia, che viveva in Canada dal 1951, fu riportato in Italia il 16 febbraio 2008 con il solito Falcon 900. Una prassi, dunque, non certo un privilegio per Filippo Turetta. Che adesso dovrà rispondere alle accuse di omicidio volontario aggravato.
E mentre la Procura di Venezia sta lavorando per contestare al ragazzo la premeditazione, puntando così alla condanna all’ergastolo, emergono nuovi elementi nelle indagini. Un audio inviato da Giulia alle amiche mostra la manipolazione di Filippo verso la vittima, la quale si sentiva in colpa per averlo lasciato ed era finita nel giogo del ricatto emotivo di Turetta, che la minacciava di volersi uccidere. “Vorrei che sparisse”, diceva Giulia alle amiche, senza però riuscire a troncare ogni rapporto.
Accettando di uscire con lui un’ultima volta, l’11 novembre scorso. Quella sera, a poche centinaia di metri da casa sua, finirà vittima della brutalità di Filippo, che avrebbe riversato tutta la rabbia in quelle 26 coltellate inferte alla ragazza. Alla prima lite tra i due ex fidanzati aveva assistito il vicino di casa, che alle 23.18 aveva chiamato il 112 dicendo di aver sentito una ragazza urlare “mi fai male”. Il testimone indicò l’auto sulla quale la coppia si era allontanata, ma non seppe dare la targa, per cui non fu disposto alcun intervento.
Ora c’è il rammarico che forse Giulia poteva essere salvata, perché la Punto di Filippo girò nella zona per circa mezz’ora, mettendo in atto l’aggressione in due fasi, sotto casa e a Fossò. E Giulia morì dissanguata, dopo un’agonia durata 25 minuti.
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