Il nome della Rosa e il teatro musicale
“Il nome della rosa” e il teatro musicale.
di RICCARDO LENZI
La decisione della Scala di commissionare l’opera “Il nome della rosa” al compositore Francesco Filidei è destinata a rinfocolare tante discussioni che ebbero lo stesso Umberto Eco, l’autore del romanzo che ispira l’opera in questione, fra i protagonisti. Al centro proprio l’attualità e il destino del teatro lirico e il complesso rapporto fra musica e letteratura. Per quanto riguarda l’opera, è decisa la data del debutto, il 27 aprile 2025, il regista, ovvero Damiano Michieletto, e la direzione musicale di Ingo Metzmacher, con Kate Lindsay e Lucas Meachem nelle parti di Adso da Melk e Guglielmo da Baskerville. La musica sarà di livello professionalmente elevato: il maestro Filidei, 50enne pisano, dopo il perfezionamento con Salvatore Sciarrino a Città di Castello e con Jean Guillou a Zurigo, è entrato al Conservatorio Nazionale Superiore di Parigi, ottenendo il diploma di composizione con la menzione più alta e diplomandosi al Conservatorio di Firenze.
Il nome della Rosa a teatro: affidata a Francesco Filidei
E’ tra i compositori italiani più apprezzati nel mondo, con premi come il Salzburg Music Förderpreisträger, il Prix Takefu, la Medaglia Unesco Picasso/Mirò del Rostrum of Composers e il Premio Abbiati. «Questo è un progetto di tre anni fa che arriverà a maturazione nel 2025, oltre il mio mandato», ha sottolineato il sovrintendente scaligero Dominique Meyer. E già possiamo immaginare il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano occhieggiare cupamente la scacchiera degli spostamenti delle pedine del potere culturale, incombendo su Meyer, nato nel 1955, la famigerata “norma Fuortes” che detta il limite di 70 anni per i direttori dei teatri lirici. Ma per ora la creatività autorale ha il sopravvento: Filidei è impegnato sul libretto con Stefano Busellato e Pierre Senges, oltre che con i drammaturghi Hannah Dübgen e Carlo Pernigotti.
Lavora su due versioni, italiana e francese, per le “prime” previste a Milano e Parigi. Difende la sua idea originaria, a quel che si è letto, lavorando su una struttura portante di tipo sinfonico su cui si innesta una successione di arie e recitativi, il cui materiale è derivato principalmente dalla variazione di melodie gregoriane. L’opera avrà per protagonisti una quindicina di personaggi e sfrutterà la struttura del romanzo, in cui i fatti sono sempre presentati “de relato”. Ma fare de “Il Nome della rosa” un’opera lirica non sarà un’operazione semplice.
Lo stesso Umberto Eco e il compositore Luciano Berio nei loro dialoghi, spesso pubblicati su “L’Espresso”, amavano problematizzare la questione della traducibilità dell’opera d’arte. Sull’argomento, verso la fine degli anni Cinquanta, Eco scrisse un libro a dir poco storico: “Opera aperta”, in parte suggerito da esperienze musicali come “Sequenza I” di Luciano Berio.
Eco vi affermava che una forma è esteticamente valida nella misura in cui può essere vista e compresa secondo molteplici prospettive, manifestando una ricchezza di aspetti e di risonanze senza mai cessare di essere se stessa. E che un’opera può essere tangibilmente aperta e in questo caso si tratta di opere “non finite” che l’autore «pare consegnare all’interprete più o meno come i pezzi di un meccano».
Ancora nel 1986 su “L’Espresso” tornò sull’argomento, notando che i tempi erano cambiati e che per quanto riguardava la musica «l’avanguardia storica ha esaurito la sua carica di provocazione, non per vizio proprio, ma per virtù del pubblico che si è mitridaatizzato e va a teatro per essere provocato. E dunque il solo modo per provocarlo era non provocarlo più».
Tempi dunque segnati dalla rinascita dei generi, sia pure rivissuti in chiave ironica e critica. Per questo il romanzo ha tentato di nuovo di raccontare la storia. E il teatro musicale? Eco chiedeva a Berio: «Come ti poni di fronte a un pubblico che, maturato, chiede al teatro musicale storie, anche se non sono più quelle consolatrici di un tempo?» e «cosa succede a un musicista di oggi quando vuole fare teatro e narratività da musicista, in musica, con la musica, ma nel teatro, e con persone che dicono “Come sta?” e “Addio sogni di gloria?”».
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