Il modello Albania piace all’Europa, Meloni: “Il coraggio paga”
Il modello Albania tanto osteggiato dalle toghe rosse è sempre piaciuto all’Europa. Di fronte all’invasione incontrollata dall’Africa, infatti, il successo del piano del governo italiano di impiantare hotspot e hub per i migranti fuori dal vecchio continente sarebbe potuto essere la soluzione per tutta l’Ue, che ormai da mesi combatte una guerra contro la radicalizzazione e il terrorismo, che proprio nel bacino dell’immigrazione clandestina trova lupi solitari disposti a uccidere nel nome di Allah. Senza contare l’esorbitante impegno economico dell’accoglienza che grava sui singoli Paesi dell’Unione. Insomma per l’Europa, l’Italia avrebbe dovuto essere il precursore di un modello che, invece, è stato boicottato dalla magistratura, a colpi di non convalida dei trattenimenti dei migranti nei centri in Albania, facendo leva sul diritto Ue e sostituendosi all’Esecutivo nella definizione dei Paesi sicuri. Un braccio di ferro dei giudici in cui ad avere la meglio è stato però il governo. Perché l’ultimo atto del Consiglio dei ministri guidato dalla premier Giorgia Meloni è stato il via libera al decreto legge che contiene “disposizioni urgenti per il contrasto dell’immigrazione irregolare” e prevede la possibilità di trasferire gli irregolari presenti in Italia nei Cpr dell’Albania. Contro la nuova norma si sono immediatamente sollevate non solo le critiche dell’opposizione, ma anche quelle delle correnti di sinistra della magistratura. Polemiche bloccate sul nascere ieri, quando il portavoce per gli Affari interni e l’Immigrazione della Commissione europea, Markus Lammert, ha elogiato l’Italia. “Siamo a conoscenza”, ha detto, “degli ultimi sviluppi riguardanti il decreto italiano” sul Cpr in Albania. “Siamo in contatto con le autorità italiane. Secondo le nostre informazioni, la legge nazionale italiana si applicherà a questo centro, come è stato il caso finora per l’asilo. In principio, questo è in linea con il diritto dell’Ue”, ha assicurato Lammert. “Continueremo a monitorare l’attuazione del Protocollo (Italia-Albania, ndr) nella sua nuova iterazione e rimarremo in contatto con le autorità italiane”, ha aggiunto. Per quanto riguarda le cosiddette “soluzioni innovative”, in particolare la predisposizione di centri di rimpatrio (“return hub”) in paesi terzi “abbiamo detto che siamo pronti a esplorarle, sempre in linea con gli obblighi previsti dal diritto dell’Ue, dal diritto internazionale e dai diritti fondamentali”, ha fatto sapere Lammert. Riguardo al decreto che trasforma i centri albanesi in Cpr, ha precisato il portavoce, “secondo le informazioni in nostro possesso, stiamo parlando di un’iniziativa che si basa sulla legge nazionale. E questo è diverso dall’applicazione del concetto di ‘return hub’. Sono due cose diverse”, ha concluso Lammert. Sulla questione è intervenuta anche la presidente Meloni, in un messaggio video al Border Security summit organizzato dal premier britannico Keir Starmer, ha detto che “con la Gran Bretagna siamo d’accordo che non bisogna avere paura di immaginare e costruire soluzioni innovative, come quella avviata dall’Italia con l’Albania. Un modello criticato all’inizio ma che ha poi raccolto sempre più consenso, tanto che oggi l’Unione europea propone di creare centri per i rimpatri nei Paesi terzi. Ciò vuol dire che avevamo ragione, e che il coraggio di fare da apripista è stato premiato”.
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