Il Messico, la rivincita dell’usato
e l’economia “della seconda mano”
Ogni anno in Italia, lontano dalle luci della scena economica nazionale, 100mila persone vivono della raccolta e del commercio di oggetti usati, si tratti di capi di abbigliamento, libri, mobili, articoli di elettronica, fino ad ogni mezzo di trasporto. Perché oltre 500mila tonnellate di materiali vengono sottratti alle discariche per assumere nuova vita, a volte nuove funzioni, trasformandosi in nuove risorse, per un fatturato complessivo tra i 2 e 3 miliardi annui.
Pietro Luppi ha dedicato a tempo pieno la metà della sua vita – oggi ha 43 anni – allo studio e alla lettura delle economie della seconda mano sviluppando in ogni parte del mondo indagini di mercato e analisi che hanno condotto a modelli di business, sempre innovativi, per imprese e cooperative sociali, aziende di igiene urbana e istituzioni pubbliche. Recente, un suo nuovo libro di cui è coautore Alessandro Giuliani (founder di Leotron, azienda leader della second hand economy con i franchising Mercatopoli e Baby Bazar e il network Niu.eco), intitolato “La rivincita dell’usato – Le nuove prospettive del primo pilastro dell’economia circolare”, pubblicato da Edizioni Ambiente.
Una lunga chiacchierata con Pietro, più volte immobilizzata nelle immagini e nelle parole che arrivavano in Rete dal Messico dove da qualche tempo vive, hanno convinto L’Identità a raccontare innanzitutto alcune tessere del mosaico della sua storia di vita, rimandando al più presto l’approfondimento sui tanti contenuti del libro che apre ad un futuro del comparto tutto da scrivere.
Una storia che è la fotografia di una passione civile. Negli anni 2000 ha iniziato la sua attività di reporter internazionale partendo dalle esperienze romane nelle radio dell’antagonismo che misuravano il loro impegno anche approfondendo la diffusione delle storie di comunità e territori lontani dall’Italia. Non era di moda come oggi la geoeconomia, imperavano le tematiche dei movimenti che combattevano la globalizzazione nei Paesi più poveri, come quelli dell’America Latina.
“Lì – racconta – ho cominciato ad analizzare l’economia generata in maniera autonoma dai rifiuti nelle bidonville e nelle favelas, dove era possibile vivere solo vite di scarto. Tra gli scartati e gli scarti, ovunque nel mondo, l’entropia è costante”. E lì, anche negli anni a seguire fino ad oggi, ha scoperto come la differenziazione dei rifiuti possa, risultando efficacissima, autoalimentare un’intera filiera del riuso, accortamente curata casa per casa, quartiere per quartiere, veicolata attraverso l’incrocio di nodi stradali ove la forma del baratto tra diverse frazioni differenziate conduce ad un perfetto ingranaggio economico verso i centri finali di destinazione.
Modelli utili a un confronto tra tutte le esperienze possibili, da attivare in ogni Paese del mondo ove si aprisse una strada al riuso. In Italia, lo ha fatto con le campagne sugli abiti usati, con l’Occhio del Riciclone e l’Osservatorio del Riutilizzo, fino alla Rete degli Operatori dell’Usato che ha legittimato molte imprese. Con un’attenzione serrata alla nascita della filiera dei rifiuti tessili, che lo ha condotto anche all’attività di consulente della Commissione Bicamerale sulle Ecomafie.
Un tema che richiama, con la cronaca ricorrente, la presenza della criminalità organizzata. La quale sempre, dice, “non vuole che sia disturbata la sua manovra opaca che controlla con il proprio pressing le cooperative sociali più deboli, piuttosto che gli appalti pubblici”. Un impegno in prima linea, cui Luppi non ha mai rinunciato e che gli ha pure procurato in Italia preoccupanti segnali di minaccia arrivati alle iniziative che coordinava. Al nostro Paese e alle opportunità che gli derivano dal Terzo Settore riserva oggi parole pacate ma nette: “Ho conosciuto in tutti questi anni cooperative sociali splendide, che fanno un ottimo lavoro. Se c’è una cosa, invece, di cui non abbiamo bisogno è un certo lobbismo verde che fa il peggior danno, occupandosi solo di traffico di influenze”.
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