Il Mediterraneo parcellizzato e l’anonimato politico dell’Italia
di GIUSEPPE MESSINA – Nella recente storia italiana, tutti i governi hanno mostrato interesse per le politiche nel Mediterraneo. Obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di uscire dalla marginalità imposta dagli eurocrati per implementare politiche di crescita dell’intera area mediterranea.
La storica vocazione marittima dell’Italia, che vanta oltre 8 mila chilometri di costa, è stata sviluppata in una rigenerata visione mediterranea? Pare di no! Vediamo di chiarire le ragioni di una sovranità geopolitica solo annunciata e mai attuata, in un Mediterraneo sempre più parcellizzato.
Cominciamo col dire che non tutti sanno che il “Mare Nostrum”, tanto decantato con orgoglio e appartenenza dai Romani, non esiste più. Va sfatato anche il convincimento che il mare sia un luogo senza alcun confine. Senza dover evocare il “Labirinto di Cnosso”, è da tempo che il Mar Mediterraneo risulta parcellizzato. Somiglia sempre più ad uno spazio terrestre delimitato da precisi confini nazionali. E’ proprio il diritto internazionale la fonte giuridica dell’istituzione della Zona Economica Esclusiva (ZEE).
Facciamo un passo indietro per chiarire i contorni del ragionamento anche a favore di chi è poco avvezzo a norme e istituti del diritto internazionale. Lo scopo è quello di aiutare il lettore a comprendere come l’Italia sia stata colpevolmente a guardare per troppo tempo, con notevoli danni d’immagine ed economici. Il mare è diviso, da un punto di vista iuridico, in acque territoriali, cioè quelle entro dodici miglia dalla costa su cui lo Stato adiacente esercita la propria giurisdizione ed acque internazionali, dove vige, per l’appunto, il diritto internazionale.
Le ZEE, nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, (UNCLOS, 1982), sono quelle aree di mare adiacenti alle acque territoriali in cui vi è un prolungamento della giurisdizione di uno Stato su una porzione delle acque internazionali. Le ZEE si estendono per un massimo di duecento miglia a partire dalla linea di costa. Dunque, alle 12 miglia di acque territoriali possono essere aggiunte massimo 188 miglia di ZEE. In queste acque, gli Stati possono collocare installazioni per fini militari, di sicurezza e sono
sovrani per quanto riguarda l’estrazione e la gestione delle risorse naturali. Perché uno Stato allarga i propri confini?
La verità è che da sempre la capacità di sfruttare il mare a proprio vantaggio costituisce un elemento fondamentale per determinare la potenza e la ricchezza delle nazioni. Con il commercio globale, la scarsità delle materie prime, il sovrappopolamento del pianeta, la desertificazione di ampie aree del globo, l’inquinamento, il cambiamento climatico, gli Stati cercano in ogni modo di controllare ampi tratti di mare per commerciare ed estrarre risorse alimentari ed energetiche.
In un Mediterraneo eterogeneo, su cui si affacciano 22 Paesi di tre Continenti, il cui patrimonio culturale è come “una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”, per citare lo storico Fernand Braudel, sono solo la scienza, la ricerca e la cultura a consentire di porre le basi della diplomazia politica, per un approccio alla
condivisione delle risorse. Ecco perché possedere una ZEE è importante. A partire dal controllo della fauna ittica ai fini alimentari e delle risorse energetiche, come gas naturale e petrolio.
Ed ancora, nelle ZEE è possibile collocare anche infrastrutture a cavallo tra il militare e il civile, come le isole artificiali o delle stazioni radar per controllare il commercio marittimo all’interno delle proprie 200 miglia. La delimitazione della ZEE tra Stati deve essere frutto di un negoziato. Difatti, secondo il diritto
internazionale (UNCLOS 74,1), occorre un accordo per addivenire ad una soluzione equitativa tra gli Stati con coste adiacenti o opposte. E l’Italia? E’ riuscita, nel tempo, a difendere i confini marittimi dall’assalto di Francia, Spagna, Turchia, Cipro, Grecia, Egitto, Israele, Libano, Libia, Siria, Tunisia, Algeria, Marocco?
Dopo oltre tre decenni, lo strumento della ZEE, è stato approvato anche dal Parlamento italiano con Legge n.91 del 14 giugno 2021. Ma l’Italia non è ancora pronta a difendere i “diritti storici” di pesca.
Per farlo, deve avviare i negoziati con gli Stati che vantano una delimitazione di 200 miglia. E per farlo deve prima istituire la ZEE con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministero degli affari esteri.
Soltanto dopo la notifica della ZEE, agli Stati il cui territorio è adiacente a quello dell’Italia, è possibile avviare il negoziato. Si è capito, dunque, che la partita per rivendicare il nostro mare, è agli albori. Il governo nazionale, che ha puntato molto sul mare, quando mostrerà interesse a completare l’iter istituzionale per la ZEE e avviare i necessari negoziati per la difesa dei nostri confini marittimi?
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