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Il lungo addio di Gigi Buffon, saluta il calcio a 45 anni

di Giovanni Vasso -

GIANLUIGI BUFFON


Gigi Buffon ha ufficialmente abbandonato il calcio. Un post sui social rende inequivocabile e irrevocabile l’addio al pallone. Quattro versi e un video lungo un minuto (e una vita) che ripercorre le fasi saliente di una carriera stellare che ha portato un ragazzo di Carrara in vetta al mondo. Dal Parma alla Juventus e ritorno. In mezzo la Nazionale campione del mondo 2006 e la stagione in B coi bianconeri, la fuga parigina al Psg e la ricerca spasmodica e frustrata dell’unico trofeo che gli è sfuggito per completare una bacheca irripetibile: la Champions League.

Gigi Buffon ha scritto sui social tredici parole, disposte su quattro versi, una specie di Haiku dedicato all’amico di una vita: il pallone. “Finisce qua. Mi hai dato tutto. Ti ho dato tutto. Abbiamo vinto insieme”. Il portiere per antonomasia. Finora, per i più “anziani” è stato Dino Zoff. Oggi l’unico che sia riuscito, sportivamente parlando, a raccoglierne la pesantissima e irripetibile eredità, dà l’addio al calcio giocato. E lo fa a 45 anni, “superando” il grande vecchio di tre anni. Zoff si ritirò che ne aveva 42, praticamente poco dopo aver conquistato la Coppa del Mondo in Spagna nell’82. La cosa più divertente è che Buffon, il portiere, manco avrebbe dovuto farlo. Ma da ragazzino, ai tempi gloriosi di Italia ’90, si lasciò ammaliare da un calciatore venuto dall’Africa a dare una lezione di calcio ai tracotanti euro-sudamericani. Era il portiere del Camerun, si chiamava Thomas N’kono. Fu tra i protagonisti della favola dei Leoni. Fu, senza volerlo, l’ispiratore di una delle ultime grandi storie del calcio italiano. 

L’ultima parata della sua carriera l’ha fatta rifiutando le sirene arabe. Lo avrebbero, letteralmente, ricoperto d’oro per una stagione passata a giocare tra le dune del deserto. Più che altro, per fare il testimonial di una lega che punta a diventare un giardino del football irrigato a petrodollari. Gigi Buffon, però, ha scelto di rescindere il contratto che ancora lo legava al Parma per appendere i guanti al chiodo. In Emilia era tornato per restituire quello che i gialloblù gli avevano dato. Ai tempi che il club era nelle mani dei Tanzi, Buffon era un ragazzino della Primavera che, lentamente ma inesorabilmente, si impose in una squadra di campionissimi. Da Fabio Cannavaro a Lilian Thuram, giusto per citare un paio di colossi che gli blindavano l’area di rigore. Il passaggio alla Juve è arrivato quando il crac Parmalat ha messo fine a quella esperienza che, dalla provincia, aveva portato gli emiliani in vetta all’Europa. A Torino c’è rimasto a segnare due epoche, con lo spartiacque di Calciopoli e quella grandissima rivincita, per il blocco Juve (da Lippi fino ai calciatori in campo) che è stata la vittoria dei mondiali in Germania. Rimase anche in B e riportò la Juventus a giocarsi i grandi trofei continentali, titolarissimo all’inizio del filotto storico dei nove scudetti consecutivi. Poi l’età, la cessione al Psg, il ritorno alla Continassa e, infine, quello a casa, al Parma. Di nuovo in B. Ha vinto nove scudetti. Zoff si è fermato a sei. Ma di lui ci si ricorderà, anche se non soprattutto, per essere stato (sempre) il primo azzurro a scendere in campo, in Germania, a scaldare i tifosi italiani e a sentire l’atmosfera, chiudendo la porta e trascinando, insieme ai compagni, l’Italia alla conquista del suo quarto, insperato, mondiale. Oggi non riusciamo più neanche a qualificarci alla fase finale dei campionati del mondo. Ma questa è un’altra storia. Quella di Gigi Buffon, da oggi pomeriggio, è diventata leggenda dello sport.


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