Politica

Il Friuli non è Roma: la mossa del Carroccio per gestire la cassa

di Edoardo Sirignano -

GIORGIA MELONI PRESIDENTE DEL CONSIGLIO MATTEO SALVINI MINISTRO


Il Friuli non è Roma. La vittoria di Fedriga è un caso isolato. Il vento in Italia tira ancora a favore di Giorgia e dei suoi. Il risultato delle ultime regionali è l’ennesima dimostrazione di come il partito di Salvini sia solo un movimento territoriale. Nelle ultime regionali, infatti, non vengono votate le battaglie nazionali del Carroccio, ma piuttosto un governatore che per cinque anni ha operato bene. Stiamo parlando, d’altronde, di chi fino a ieri non era tanto in sintonia con il vertice verde. Anzi! La dimostrazione plastica è la “civica di Max” per dare spazio ai ribelli del “capitano”. Ecco perché siamo di fronte all’ennesima furbata di Matteo, il quale sfrutt ogni occasione per mettere le mani sui dicasteri che contano.

La furbata di Matteo

I tempi in politica, infatti, hanno un peso o meglio ancora sono l’ “abc” per comprendere i processi. Ogni decisione avviene in un momento “x” per una sacrosanta ragione. Partendo da questo concetto, possiamo capire come le parole del capogruppo della Lega alla Camera siano del tutto strumentali. Se davvero non condivideva qualcosa su un argomento cruciale come il Pnrr, perché ricordarsene solo dopo gli exit pool di lunedì sera? Le opzioni sono due. La prima è che Salvini voglia prendersi il ministero guidato da Raffale Fitto. Il movimento che si ispira ad Alberto da Giussano, infatti, trova la sua forza nella territorialità, negli enti locali, negli amministratori. Quale miglior luogo per distribuire prebende se non un dicastero che si occupa appunto di spartire fondi continentali? In questo modo potrebbero essere accontentati i soliti campanili, i medesimi consiglieri e perché no gli amici degli amici. Il piano b, invece, è mettere sotto ricatto la premier con un elenco delle priorità. Secondo recenti indiscrezioni, sarebbe già stato consegnato dallo stesso Salvini al presidente del Consiglio. In questo modo sarebbe data priorità alle opere centrali nel programma elettorale della Lega. Basti pensare al Ponte sullo Stretto o qualche altra infrastruttura, che garantirebbe subito risorse a determinati sindaci o assessori. Sono questi ultimi coloro che garantiscono ai verdi di sopravvivere ed essere determinanti, ma soprattutto a Salvini di esserne il leader indiscusso. Mentre agli avversari interni vicini a Giorgetti viene affidata la patata bollente dell’economia, ovvero il compito di mettere le mani nelle tasche di cittadini impoveriti da una crisi senza precedenti, Matteo è in giro per l’Italia a promettere crescita e sviluppo. Il gioco delle nomine è una dimostrazione plastica di tale ragionamento. Negli incarichi considerati “popolari”, il capitano piazza i sodali. Un esempio, come anticipato su queste colonne, è la battaglia per promuovere Pasqualino Monti all’Enav, in modo da liberare la preziosissima casella dell’Autorità di sistema portuale del Mare di Sicilia Occidentale. Un crocevia indispensabile quando si parla di Mezzogiorno e assi strategici.

La contromossa di Giorgia

Meloni, però, non è l’ultima arrivata in politica. La premier, prima di varcare la soglia di Palazzo Chigi, ha fatto militanza e vita di partito. Sa riconoscere benissimo i ricatti,le false pretese e i miti che non esistono. Per tale ragione, Giorgia non solo non esaudirà i desiderata degli alleati, ma sfrutterà i delicatissimi fondi del Pnrr per farsi nuovi amici. Il Friuli, in tal senso, è un importante laboratorio. A quella latitudini non hanno votato FdI i militanti della destra storica, ma piuttosto quei moderati, rimasti senza una casa per cui era semplice ritrovarsi su una forza europeista, filo Nato e vicina ai valori del cattolicesimo. Le persone a Udine hanno scelto il nuovo partito conservatore, non l’estrema destra. Basta, d’altronde, analizzare le preferenze dei singoli candidati per notare che l’hanno spuntata nuove energie e non vecchi colonnelli. La stessa Meloni avrebbe incaricato il fedelissimo Donzelli di costruire una nuova classe dirigente, diversa da quella del recente passato. Ciò non significa rottamare i vecchi alla renziana maniera, ma piuttosto creare le condizioni per attingere a serbatoi di consenso differenti da quelli delle ultime politiche. Per realizzare tale operazione, però, serve avere una linea chiara anche nella capitale. Giorgia, dopo la mutazione che gli ha permesso di essere simpatica all’Europa, agli Usa, alle banche, adesso sarebbe pronta a realizzare la parte finale del piano: la creazione di un soggetto politico moderno, forte e indipendente dai ricatti del Salvini di turno. In questo modo, la Lega, che ha un’indiscussa storia, sarebbe parte di un qualcosa di più ampio, ma non l’ago della bilancia, che può permettersi di alzare la voce quando le pare e piace. A maggior ragione in un testa a testa con Schlein, ormai indiscussa bandiera della sinistra, recuperare un elettorato centrista, orfano di riferimenti, potrebbe essere la svolta per andare oltre la luna di miele. I moderati certamente non possono riconoscersi tutti nel partito di Renzi, così come i grillini, se vorranno sopravvivere, non potranno più stringere initese con i soli progressisti. Elly è certamente più compagna del pentastellato Conte.

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