Attualità

Il dramma delle 21 vittime del bus: dalla sicurezza al rischio elettrico

di Rita Cavallaro -


I familiari di quei 21 turisti morti sul bus precipitato dal cavalcavia di Mestre dovranno attendere i risultati di un’indagine complicata per conoscere la verità sulla fine dei propri cari. Perché l’incidente avvenuto alle 19.38 di martedì scorso appare così inspiegabile da aprire scenari che vanno dal malore dell’autista a un guasto tecnico. E più si raccolgono gli elementi, meno si restringe il campo delle ipotesi al vaglio della Procura di Venezia, che ha aperto un fascicolo sulla strage, al momento contro ignoti, e che attende l’autopsia sul corpo di Alberto Rizzotto, 40 anni e autista esperto.

Quello che gli investigatori dovranno accertare è il motivo per cui il conducente del bus sia sopraggiunto sul cavalcavia senza frenare, abbia effettuato una manovra azzardata e sia volato giù per una quindicina di metri. Le batterie del mezzo elettrico, prodotto da una società cinese e con meno un anno di vita, hanno preso fuoco nell’impatto e l’incendio non ha dato scampo ai viaggiatori: in 21, tra cui una bambina e un neonato, sono morti. Erano saliti sullo shuttle a mezz’ora dalla strage. Rizzotto, che aveva preso servizio circa 90 minuti prima, li aveva prelevati a piazzale Roma. Direzione un camping fuori città, ma nel tragitto qualcosa è successo, forse ancora prima di raggiungere quel cavalcavia da dove il bus è volato giù.

Gli inquirenti stanno studiando con attenzione il filmato delle telecamere di sorveglianza, che mostra l’autobus sopraggiungere spedito, affiancarsi ad altri mezzi fermi nel traffico ma senza frenare, sfondare con una manovra azzardata almeno due lampioni che si spengono e precipitare nel vuoto in un punto in cui il guardrail era interrotto. I soccorritori hanno recuperato le due scatole nere e le telecamere interne del mezzo e stanno visionando gli ultimi momenti di guida di Alberto Rizzotto, per capire se davvero il 40enne sia stato colpito da malore o abbia tentato in tutti i modi di evitare l’incidente. Quello che sarà fondamentale escludere, per chiudere il cerchio, e bloccare sul nascere le polemiche riguardo alla sicurezza dei veicoli elettrici ormai ritenuti indispensabili per la transizione ecologica, è se la strage sia stata causata da un guasto tecnico.

Ad alimentare questa probabilità un whatsapp di una cittadina che parla di alcuni testimoni che avrebbero visto lo shuttle prendere fuoco “nella rampa di salita del cavalcavia” e aggiunge che il conducente non poteva fermarsi “perché era stretto tra le altre auto in coda”. Una ricostruzione che potrebbe essere compatibile con la dinamica, in quanto sull’asfalto non ci sono tracce di frenata ma sul guardrail sono rimasti i segni neri delle gomme del bus, che avrebbe strusciato sulle lamiere finché il paracarro non si è interrotto, nel punto in cui è precipitato. Non è escluso che, in presenza di un incendio nel vano batterie, il sistema elettronico possa aver bloccato l’alimentazione e, a quella velocità, Rizzotto non abbia potuto fare nulla per fermare il bus, se non il tentativo disperato di utilizzare il guardrail per arrestare la marcia. Peccato che la ringhiera fosse interrotta in quel tratto. Senza contare che l’incendio provocato dalle batterie ha complicato fin da subito le operazioni di soccorso. E forse, qualche vittima in più poteva essere salvata. Sotto la lente, dunque, l’azienda produttrice cinese Yutong, che ha fornito 20 bus elettrici a La Linea Spa, che garantisce il sistema di navette a Venezia. La stessa Yutong avrebbe dovuto fornire 100 bus elettrici alla città di Torino, dopo che nel 2020 si era aggiudicata la gara indetta dall’operatore del trasporto pubblico locale Gtt. Ma il contratto da 72 milioni di euro era stato “annullato dopo la verifica” perché sarebbe emerso che l’azienda, “è risultata non avere i requisiti necessari”.

Principalmente quelli della sicurezza, che il Comune ha ritenuto insufficienti nella verifica del processo di assemblaggio. Secondo le indiscrezioni, per tagliare i costi di produzione, i mezzi elettrici non sarebbero partiti da Hong Kong già pronti, ma sarebbero stati assemblati sulla nave durante il tragitto dalla Cina all’Italia. Un caso passato sotto traccia, l’ennesima noiosa storia di burocrazia e appalti, ma che oggi assume contorni inquietanti di fronte alla strage di Mestre, almeno finché l’analisi delle scatole nere non escluderà l’ipotesi di un guasto tecnico dello shuttle. Perché la rivoluzione green senza se e senza ma non può prescindere dalla sicurezza dei cittadini. Mancanza di sicurezza che si affianca al danno previsto per le aziende europee e i produttori italiani a seguito della decisione dell’Ue sullo stop ai motori a combustione entro il 2035. Un boomerang, con il mercato dell’auto sotto il monopolio della Cina, che avrà un doppio binario di guadagno. La superpotenza cinese non solo resterà tra le poche a produrre le auto diesel e benzina, ma già oggi è il Paese tra i maggiori esportatori delle batterie al litio, quelle che vanno installate sulle vetture elettriche. Forse le stesse che hanno contribuito alla strage di Mestre.


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