Il Dragone che voleva volare: Xi e quella sindrome di Icaro
XI JINPING PRESIDENTE REPUBBLICA CINESE
di DOMENICO FRACCHIOLLA
Il dragone voleva volare, ma il suo è il sogno di Icaro. Senza le ali d’aquila della democrazia americana la Cina di Xi si scontra con la cruda realtà delle velleità imperialiste di un regime autoritario (persino la Prima Repubblica in Italia è stata spesso paragonata ad un calabrone, che vola a dispetto della burocrazia, della corruzione e delle inefficienze). La leadership di Xi è più esposta delle democrazie alle conseguenze di impreparazione, patronage e errori strategici. Il principe illuminato necessita dei migliori Richelieu e Mazzarino per vincere la competizione internazionale o la chiusura verso l’esterno diventa l’unica possibilità di sopravvivenza. Con un processo graduale di apertura, invece, la Cina per quasi 40 anni ha goduto del mercato globale sostenuta dall’Occidente, con fragili ali di cera dell’autoritarismo socialista di stato, che non tollera dissenso, non accetta le critiche e non può pagare il prezzo delle libertà politiche, della certezza del diritto e delle istituzioni democratiche inclusive.
La società immobiliare Evergrande è stata per anni il simbolo della crescita cinese fondata sul settore immobiliare, sostenuta dal governo centrale con sovvenzioni e generose agevolazioni, apprezzata da molti come la risposta efficace di un governo forte alla crisi economico-finanziaria del 2008, che infatti non colpisce Pechino. Il rischio di una bolla speculativa per la difficoltà della domanda di assorbire l’enorme offerta di case e per gli sprechi è però sempre presente e si materializza nel 2021, senza che i correttivi del governo, che ha poi ha cercato di evitare i fallimenti a catena, fossero efficaci. Il tracollo finanziario di Evergrande ha evidenziato il fortissimo indebitamento di tutto il settore immobiliare con rischi per le famiglie che hanno comprato sulla carta di ritrovarsi senza casa e per le banche di non ricevere i pagamenti delle rate dei mutui erogati. A riguardo, Kenneth Rogoff economista di Harvard, parla di super ciclo del debito. Oggi, il ricorso alla procedura di ristrutturazione presso il tribunale di New York e la grave crisi dell’altro colosso cinese del settore, la società Country Garden, sono il secondo atto di una crisi annunciata. L’intervento delle autorità finanziarie di Pechino per dimezzare la tassa sulle transazioni dei titoli al fine di rinvigorire il mercato dei capitali e aumentare la fiducia degli investitori è solo un timido palliativo per distrarre i mercati.
A peggiorare la situazione, le fragilità di altri settori dell’economia si sommano a quello finanziario, preparando una possibile la tempesta perfetta. La brusca contrazione dell’export per la guerra commerciale con gli Stati Uniti, la delocalizzazione inseguendo il modello delle oche volanti, l’impennata della disoccupazione giovanile al 21%, la riduzione della domanda interna, la contrazione degli investimenti esteri diretti e il deprezzamento dello Yuan rappresentano uno scenario pericoloso di trappola della liquidità e di deflazione, già registrata a luglio. A dire il vero, l’ipotesi della trappola della liquidità simile a quella che ha colpito il Giappone negli anni ’90 manca ancora di tasselli importanti per realizzarsi e anche i timori di contagio della crisi immobiliare all’economia mondiale (una nuova Lehaman Brothers secondo alcuni osservatori), sono davvero eccessivi. La solidità patrimoniale delle banche cinesi e lo stretto controllo dello Stato sul sistema bancario sono validi anticorpi contro il crollo del sistema bancario.
Tuttavia, esistono tensioni rilevanti di carattere economico e sociale da osservare con attenzione per le possibili ricadute politiche. Gli effetti della “controriforma” del 2015 per contrastare gli effetti disastrosi della politica del figlio unico per la curva demografica che segna un inesorabile invecchiamento della popolazione, non sono ancora evidenti, forse per colpa del Covid e della stessa crisi economica. Il problema sociale centrale è l’invecchiamento della popolazione prima che il paese abbia raggiunto livelli di ricchezza adeguati per sostenere un welfare state ricco, tradizionalmente sostituito in Cina dalla solidarietà generazionale e dai risparmi delle famiglie. I giovani fanno pochi figli, hanno una minore propensione al rischio, preferiscono sempre di più il posto fisso, vedono ridursi le opportunità di arricchimento del settore privato e considerano i preziosi risparmi a rischio per la crisi immobiliare. Il sentimento di paura verso il futuro sembra farsi largo nella società, rischiando di incrinare il patto sociale in vigore dai tempi di Deng tra libertà economiche e benessere combinati con l’accettazione della supremazia del partito unico comunista e della privazione di libertà individuali. Senza farsi illusioni su un’implosione simile al1989 in URSS e con la consapevolezza che XI dispone ancora di un grande patrimonio credibilità e molte frecce nel suo arco per invertire questa tendenza in formazione, il sentimento di paura potrebbe tramutarsi in malcontento diffuso con effetti imprevedibili sulla tenuta del regime e del suo leader.
*Prof. Associato di Storia delle Relazioni Internazionali Università Mercatorum, Luiss
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