Editoriale

Il discorso del(la) presidente

di Adolfo Spezzaferro -


Mentre tutti gli occhi sono puntati sul “discorso del presidente”, ossia l’attesissima conferenza conclusiva del vertice Nato tenuta questa notte da Joe Biden, la grande assente del summit, Ursula von der Leyen, continua a lavorare alla sua rielezione. Se Biden non deve tentennare per rassicurare tutti, a partire dai suoi, un po’ come Giorgio VI ne “Il discorso del re”, in cui non doveva assolutamente balbettare nel dichiarare guerra alla Germania, anche la presidente della Commissione Ue che punta alla rielezione ne ha di che preoccuparsi. Il gruppo dei Conservatori e riformisti europei, guidato in Ue dalla premier Giorgia Meloni non voterà la fiducia a un nuovo mandato di Ursula. È questo il senso della decisione che azzera ogni scenario e ipotesi circa le manovre possibili della Meloni, così come è stata annunciata da Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo Ecr. “L’agenda che abbiamo avuto modo di vedere non cambia rispetto a quella di cinque anni fa e al momento non ci sono le condizioni per votare von der Leyen”. La linea indicata agli eurodeputati di Ecr ufficialmente è quella della libertà di voto alle delegazioni. Ciò significa che i singoli partiti che compongono il gruppo potranno votare come preferiranno. “All’interno del nostro gruppo c’è sempre stata libertà di movimento e decisione per le singole delegazioni. Cinque anni fa la delegazione di Fratelli d’Italia non votò la presidente della Commissione mentre la delegazione polacca del PiS (i polacchi di Diritto e Giustizia, ndr), ad esempio, la votò”, ha spiegato Procaccini. Quando giovedì 18 si voterà la fiducia al nuovo mandato a von der Leyen, anche FdI lascerà totale libertà di voto ai suoi? Staremo a vedere. Manca ancora una settimana e può ancora cambiare tutto (per non parlare dell’incognita franchi tiratori). Qualcosa di certo potrebbe cambiare alla luce dell’incontro tra von der Leyen e una delegazione di Ecr, in programma martedì prossimo a Strasburgo, nel giorno dell’insediamento nel nuovo Parlamento europeo. Un incontro, sia chiaro, richiesto da Ecr (non ci sono solo i top jobs e i Commissari in gioco, ma anche le presidenze delle commissioni)e non dalla von der Leyen. Anche perché tre dei quattro principali gruppi dell’Europarlamento hanno chiesto esplicitamente a Ursula, in cambio del loro sostegno, di non costruire alcuna “intesa strutturale” col gruppo guidato dalla Meloni. Pertanto, se la von der Leyen dovesse attenersi a tali accordi, molto probabilmente ci sarà una maggioranza Ursula 2.0, in barba alle indicazioni espresse dagli elettori alle ultime europee. Una situazione che ricorda purtroppo molto da vicino quella del Roi Macron che invia una lettera ai sudditi in cui dice che il voto non conta e che deciderà lui, senza fretta, chi farà il premier. La Meloni dal canto suo ha dinnanzi diverse opzioni: il sì a von der Leyen, anche per instradare il rapporto tra governo italiano e nuova Commissione (si fa per dire) nel segno dell’amicizia e della collaborazione; il no a Ursula, per non inimicarsi le destre, dove pure siede l’alleato di governo Salvini; l’astensione. D’altronde, la premier si è già astenuta a fine giugno al Consiglio europeo, quando Ursula è stata “investita” ufficialmente. Staremo a vedere.


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