Editoriale

IL DIRITTO ALL’ELEGANZA

di Tommaso Cerno -

Tommaso Cerno


Premesso che Elly Schlein può vestirsi come vuole. Premesso che il diritto all’eleganza nella sinistra è stato sancito a chiare lettere da uno dei suoi esponenti più controversi ma anche più riconoscibili di questa stagione politica un po’ traballante, Soumahoro, c’è una questione che riguarda la vecchia diatriba tra forma e sostanza, tra immagine e corpo che deve entrare al più presto nel dibattito della sinistra. Ha ragione chi dice che ci interessa poco quanto spende Schlein per un curatore della sua immagine, e soprattutto che se la paga con i soldi suoi, fossero anche quelli del Parlamento che sempre i suoi sono, ma in una società libera e liberale questo è più che legittimo, le polemiche seguite all’intervista della leader del Pd al settimanale Vogue, autore a modo suo di un autentico scoop perché ha messo per primo e molto più dei grandi analisti italiani sul tavolo le vere questioni prioritarie al vertice dei democratici in questo momento, aprono un tema serio: quanto il Pd negli ultimi 10 anni si sia dedicato alla propria immagine pubblica e abbia abbandonato il dialogo diretto con milioni di Italiani che votavano a sinistra e che oggi non si ritrovano più rappresentati da chi giustamente scambia l’eskimo con un trench. Non è una questione banale. Perché il tema sotteso all’effetto Schlein inteso in senso modaiolo è quello dell’ennesimo restyling di un partito che dal 2007 ad oggi non ha mai vinto le elezioni politiche, che rimanda al tema della autenticità. E cioè di quanto i proclami e le parole d’ordine di una classe dirigente vengano percepite dal popolo elettore come figli di una strategia comunicativa lontana dalla vita reale. E quanto invece possano corrispondere a esigenze reali e a una presenza fisica vicino a mondi che possono essere distanti economicamente e socialmente da chi guida un partito ma devono restare contigui per interessi generali di società e di sviluppo. E’ a questo punto della traiettoria appena cominciata di Elly Schlein che si pone la questione più importante per una sinistra che ha come obiettivo costruire un progetto alternativo di Paese capace di sconfiggere la destra guidata da Giorgia Meloni. Ed è proprio dal vestito di questa sinistra che dobbiamo partire se vogliamo arrivare a definire un percorso condivisibile per i progressisti italiani che vedono oggi da quella parte della politica una dimensione astratta, fantastica a parole, ma molto lontana nei fatti dalle esigenze di sopravvivenza e sviluppo di intere fette della società, che hanno scelto di votare a destra o di non presentarsi alle urne proprio perché confuse dalla distanza che ormai il Pd mostra dagli stessi problemi per cui si batte. Verrebbe infatti da pensare che anche il fascismo tanto invocato in questi mesi come unica formula magica per tentare di frenare il consenso della destra di governo sia figlio di una operazione di immagine. Un’immagine che trasmette l’idea, tuttavia, di una sinistra che per definirsi tale e per infilare le proprie radici nel terreno smosso di un’Italia in crisi economica e sociale, ha bisogno di individuare una destra forse dai confini ancora più netti di quelli che nella realtà la destra di governo mostra ogni giorno di avere. È chiaro che se questo fosse il problema, non sarebbe una questione da poco. Perché significa, in parole povere, che alla sinistra di opposizione sfugge ancora la composizione chimica del nuovo centrodestra di governo. E con un effetto sorpresa ci si trova a dover fronteggiare il mostro senza conoscerne i reali punti deboli. Ne viene di conseguenza che,come nei videogiochi, si prova a sparare sempre nello stesso punto, sperando che la forma del mostro esploda e diventi cenere. Ma proprio come nella realtà virtuale capita che se tiriamo sempre dove non c’è da colpire, il mostro continua ad aggredirci e anzi cresce in dimensioni e forma, si dota di armi nuove, conquista terreno e finisce per vincere lo schema di gioco. Ecco perché la divisa con cui Elly Schlein si presenta al mondo può certo derivare da uno studio di immagine ma dovrebbe in qualche modo corrispondere alla sostanza del di lei pensiero. Cosa che non si è vista ad esempio per il 25 aprile dove compito della sinistra sarebbe stato quello di essere capace di riunificare attorno a sé almeno il 90% degli italiani e delle loro culture politiche, proprio come avvenne negli anni Quaranta, quando le più diverse ispirazioni personali nel nome della democrazia e della libertà unirono le proprie forze in quella che fu una delle più incredibili risposte culturali alla dittatura che la storia contemporanea possa narrare. Invece ci siamo vestiti da partigiani di sinistra, per una operazione di immagine in tutto simile a quella che leggiamo sui giornali di questi giorni, e che riguarda invece la mise contemporanea della leader del Pd, per dividere a nostra volta non soltanto il Paese tra fascisti e antifascisti, questione che a mio giudizio è fuori dalla storia, ma per dividere anche gli antifascisti, come una maionese impazzita, nelle loro culture di riferimento. Ottenendo come risultato la fuga di una parte dei cattolici proprio da quel Partito democratico che avrebbe dovuto enfatizzare il ruolo della Resistenza verde e della Resistenza bianca, dei cattolici, dei liberali, degli azionisti e perfino dei monarchici in quei due anni della storia italiana in cui dal profondo del nostro Paese venne forse per la prima e l’ultima volta una rivoluzione che generò un riscatto popolare.

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