Il coprifuoco, le riunioni anomale e gli operai che lasciano la fabbrica: la paura di Suzzara, dove i musulmani sono più degli italiani
Il coprifuoco, le riunioni anomale e gli operai che lasciano la fabbrica: la paura di Suzzara, dove i musulmani sono più degli italiani
di EDOARDO SIRIGNANO
Una quindicina di operai, dalla sera alla mattina, non avrebbero più varcato i cancelli dell’Iveco di Suzzara. Quella che in un’epoca di normalità poteva sembrare la classica notizia legata all’interminabile crisi, al tempo di Gaza e del ritorno del terrorismo, assume un altro significato, soprattutto in una comunità dove gli stranieri e in particolare i musulmani, da oltre dieci anni, superano gli italiani. L’aria è tesa. Da alcuni giorni è tornato il coprifuoco, a causa di aggressioni, ormai diventate all’ordine del giorno. L’ultimo episodio risale a sabato scorso, quando un tunisino ubriaco molestava i passanti. Un clima che costringe il bar di Piazza Libertà ad abbassare la saracinesca alle 20,00.
Detto ciò, a queste latitudini, a parte qualche imprenditore, di nazionale c’è ben poco. Basta, d’altronde, farsi un giro nel centro storico, per notare come i normali negozi di abbigliamento sono scomparsi, così come i classici supermercati. Prevalgono, invece, i minimarket gestiti da indiani o negozi che nulla hanno a che vedere con la tradizione occidentale. Per le strade ormai la lingua di Dante è utopia. Prevalgono l’arabo, il francese e l’hindi. Il pronto soccorso di Suzzara sembra quello di Teheran o Islamabad. “Il mio medico – riferisce una donna – per una semplice visita oculistica, mi ha detto di rivolgermi al privato. Altrimenti sarei diventata cieca per le file d’attesa dovute ai migranti”. L’unica cosa che non è mai cambiata è il lavoro. Siamo, d’altronde, nella culla dello sviluppo, in una terra di famiglie, che da oltre un secolo, portano avanti le attività grazie a chi arriva. Qui il sistema dell’accoglienza è perfetto da cinquanta anni a questa parte. A tutti conviene la massima integrazione, soprattutto quando la manodopera non basta. Ognuno è consapevole che da Milano, ogni mattina, partono pullman, carichi di gente arrivata dalle frontiere, verso le più rinomate aziende della Pianura Padana.
Basta, dunque, una semplice voce per spaventare una popolazione, che fino a ieri era abituata a convivere col diverso. In seguito alle immagini devastanti che arrivano dal Medio Oriente, è sufficiente il classico WhatsApp della sorella del dipendente x per scatenare un indomabile passaparola. Qualcuno parla di ritrovo serale pro-Palestina, altri di rimpatri. Al momento non ci sono comunicazioni aziendali, ma la gente mormora. Il vecchietto che porta a passeggio il cane non si sente più al sicuro quando intravede da lontano un capannello di pachistani o iraniani. L’odore estivo di spezie che quando arrivava al naso faceva pensare solo a un sapore inusuale, adesso rimanda ad altro. C’è chi parla di riunioni pro-Hamas, chi di gruppi organizzati. Anche se probabilmente non esiste nulla di tutto ciò, la paura è ormai una costante.
A preoccupare sono soprattutto le nuove generazioni. Le scuole, a queste latitudini, sono piene di islamici. I loro figli superano, di gran lunga, quelli degli imprenditori. Tale aspetto, comunque, non spaventa i residenti italiani, che sin dalla tenera infanzia, sono abituati ad aiutare il prossimo e ad aspettare chi è indietro col programma. Dalle elementari alle superiori, gli adolescenti sono abituati a stare nello stesso banco di chi, oltre a buongiorno e buonasera, non sa una parola della nostra lingua. Tutti sono consapevoli dell’importanza del fuggitivo, in futuro risorsa. Il ragionamento sembrava perfetto fino a qualche giorno fa. Adesso, però, rischia di saltare. Siamo di fronte, d’altronde, a una società che vuole dividere a tutti i costi e in cui i bambini di Suzzara, come quelli del resto d’Europa, sono spugne. Assorbono ogni cosa arrivi dall’esterno. Qualora facessero propria la propaganda dell’Islam estremo, della causa palestinese, cosa potrebbe succedere laddove non si può fare a meno del migrante?
Questi sono gli interrogativi che rendono Suzzara un vero e proprio laboratorio nazionale. Da queste parti sono stati sempre avanti, ma saranno pronti a recepire la nuova sfida, che va oltre le potenzialità di manager e specialisti delle risorse umane? Il rischio, dovuto soprattutto a un’autodifesa, è che si formino due mondi: quello degli immigrati e quello dei pochi suzzaresi. Ognuno avrà il proprio ristorante, il proprio pub e i propri ritrovi. Mentre la Lombardia sa dell’importanza di queste persone e farà di tutto per non metterle ai margini, altrove potrebbe venir fuori un odio, in grado generare reazioni fino a ora sconosciute. Un giovane che si sente diverso o accerchiato è capace di qualsiasi gesto. Non c’è psicologo o specialista che basti. Ecco perché la piccola Suzzara, la locomotiva del mantovano, sarà la fotografia della nuova Italia. Se molla chi è stato sempre avanti e mai indietro, cosa succederà laddove non c’è la stessa cultura dell’accoglienza e dove gli extracomunitari nelle fabbriche sono sfruttati e non integrati?
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