IL COMUNISMO DEL SILENZIO
Tommaso Cerno
Noi qui a spaccare il capello in quattro, fra sinistra e sinistra, senza che nessuno sappia bene cos’è. E il nostro Occidente che, zitto zitto, fra cinesi e indiani, brasiliani ecc. sta per trovarsi il partito comunista vero come forza politica più grande del pianeta.
Una sorta di comunismo del silenzio, che c’è, impera, prende spazi, determina i nostri comportamenti individuali e diplomatici. Ma di cui la democrazia della libertà a parole finge di non dover parlare, in quanto questo nuovo comunismo è portatore fra l’altro di un modello alternativo di economia globale che sta creando non pochi guai al nostro ego finanziario legato a doppio filo al Dollaro verde e alle sue magnifiche sorti e progressive. In tutto questo, il Pd sceglie la strada più impervia. Quella di scimmiottare una sinistra d’antan, fatta di Bella Ciao e fazzoletti rossi, ignaro che quella parte della sua tradizione era stata archiviata a errore storico già nel progetto originale di Veltroni ormai più di 15 anni fa. E che il Pd antifascista si proponeva di realizzare nei fatti quella che Gobetti sintetizzava come “una certa idea dell’Italia” e che ha poco a che fare con la nostalgia rossa. Soprattutto adesso che, come in una sorta di riproposizione digital della Rivoluzione d’Ottobre, sta tornando a guidare i partiti di governo di una parte enorme del mondo. Un mondo che, anche se in Italia non lo raccontano, sta lontano dalle posizione europee e americane su temi ormai dirimenti per la nostra vita quotidiana che vanno dalla moneta, alla guerra in Ucraina, alla globalizzazione monopolare fino al riconoscimento di istituzione di polizia planetaria come la Nato. A Elly Schlein, che sta perdendo pezzi ogni giorno che passa, non conviene affatto favorire questa ambiguità. E dovrebbe invece proclamare il proprio anticomunismo a chiare lettere, rendendosi conto che in Europa questa convergenza parallela inconsapevole che si sta creando sul simbolismo della sinistra è un puro retaggio italiano, che non ha dimora nel mondo socialdemocratico di matrice liberale che ispira invece i grandi partiti di massa dei lavoratori nelle democrazie evolute.
Il vero tema su cui dovrebbe concentrare la propria attenzione è la libertà. E cercare dunque, a sinistra del Pd, quelle forze anti-sistema che – magari in maniera ancora goffa e stentata – mettono sotto la lente le storture che l’Europa e l’Italia in particolare hanno avuto durante il Covid in materia di rispetto del diritto alla sicurezza, alla salute ma anche alla libertà individuale, così come oggi ne hanno sulle ragioni profonde e sui rischi reali del conflitto ucraino, ormai semi-mondiale, creando all’interno dell’argine anti-Meloni un cantiere più elaborato e complesso sul piano intellettuale di questa lista della spesa che da mesi ci propina il Pd, fatta di luoghi comuni quali la superiorità storica e morale della propria storia politica e sociale. In poche parole, dovrebbe prendere esempio da ciò che fece Silvio Berlusconi nel 1994, quando fu capace di rielaborare una idea di destra che avesse la capacità di piegare nell’alveo democratico anche il pensiero più estremo e fino a quel momento anti-sistema, fino a renderlo macchina di governo. Un processo politico che, a distanza di trent’anni si è confermato in perfetta salute, visto che oggi siede a palazzo Chigi una donna, figlia di quella destra che lui stesso per primo sdoganò, Giorgia Meloni.
Una sorta di comunismo del silenzio, che c’è, impera, prende spazi, determina i nostri comportamenti individuali e diplomatici. Ma di cui la democrazia della libertà a parole finge di non dover parlare, in quanto questo nuovo comunismo è portatore fra l’altro di un modello alternativo di economia globale che sta creando non pochi guai al nostro ego finanziario legato a doppio filo al Dollaro verde e alle sue magnifiche sorti e progressive. In tutto questo, il Pd sceglie la strada più impervia. Quella di scimmiottare una sinistra d’antan, fatta di Bella Ciao e fazzoletti rossi, ignaro che quella parte della sua tradizione era stata archiviata a errore storico già nel progetto originale di Veltroni ormai più di 15 anni fa. E che il Pd antifascista si proponeva di realizzare nei fatti quella che Gobetti sintetizzava come “una certa idea dell’Italia” e che ha poco a che fare con la nostalgia rossa. Soprattutto adesso che, come in una sorta di riproposizione digital della Rivoluzione d’Ottobre, sta tornando a guidare i partiti di governo di una parte enorme del mondo. Un mondo che, anche se in Italia non lo raccontano, sta lontano dalle posizione europee e americane su temi ormai dirimenti per la nostra vita quotidiana che vanno dalla moneta, alla guerra in Ucraina, alla globalizzazione monopolare fino al riconoscimento di istituzione di polizia planetaria come la Nato. A Elly Schlein, che sta perdendo pezzi ogni giorno che passa, non conviene affatto favorire questa ambiguità. E dovrebbe invece proclamare il proprio anticomunismo a chiare lettere, rendendosi conto che in Europa questa convergenza parallela inconsapevole che si sta creando sul simbolismo della sinistra è un puro retaggio italiano, che non ha dimora nel mondo socialdemocratico di matrice liberale che ispira invece i grandi partiti di massa dei lavoratori nelle democrazie evolute.
Il vero tema su cui dovrebbe concentrare la propria attenzione è la libertà. E cercare dunque, a sinistra del Pd, quelle forze anti-sistema che – magari in maniera ancora goffa e stentata – mettono sotto la lente le storture che l’Europa e l’Italia in particolare hanno avuto durante il Covid in materia di rispetto del diritto alla sicurezza, alla salute ma anche alla libertà individuale, così come oggi ne hanno sulle ragioni profonde e sui rischi reali del conflitto ucraino, ormai semi-mondiale, creando all’interno dell’argine anti-Meloni un cantiere più elaborato e complesso sul piano intellettuale di questa lista della spesa che da mesi ci propina il Pd, fatta di luoghi comuni quali la superiorità storica e morale della propria storia politica e sociale. In poche parole, dovrebbe prendere esempio da ciò che fece Silvio Berlusconi nel 1994, quando fu capace di rielaborare una idea di destra che avesse la capacità di piegare nell’alveo democratico anche il pensiero più estremo e fino a quel momento anti-sistema, fino a renderlo macchina di governo. Un processo politico che, a distanza di trent’anni si è confermato in perfetta salute, visto che oggi siede a palazzo Chigi una donna, figlia di quella destra che lui stesso per primo sdoganò, Giorgia Meloni.
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