Il carcere prima del processo. il caso Pittelli riapre la battaglia “Pene contro la Costituzione”
GIAN CARLO GIANCARLO PITTELLI
di UMBERTO BACCOLO
Lunedì sera, a tre anni dal suo arresto, l’ex senatore Giancarlo Pittelli si è visto accogliere dal Tribunale di Vibo, presso il quale è in corso Rinascita Scott (la maxi inchiesta che avrebbe dovuto rendere il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri più famoso di Giovanni Falcone), una nuova istanza del suo collegio difensivo che ha attenuato in obbligo di dimora la misura cautelare degli arresti domicilari alla quale era sottoposto. “La difesa – fa sapere il Comitato di cittadini che era nato in sua difesa, presieduto da Enrico Seta e di cui sono portavoce, che aveva raccolto un anno fa circa 3mila firme a suo sostegno, tra cui quella del ministro della Giustizia Carlo Nordio – chiederà l’adeguamento a questa nuova valutazione dei giudici anche per l’inchiesta Malapigna, il secondo processo al quale Pittelli è sottoposto”. Questo vuol dire che probabilmente Pittelli potrebbe passare il Natale da uomo imputato, ma libero. La sua complessa vicenda giudiziaria, intanto, ha assunto un valore simbolico riguardo temi, come gli abusi nelle custodie cautelari e l’utilizzo mediatico delle intercettazioni per distruggere l’immagine degli indagati, sui quali il governo sta mostrando grande sensibilità e attenzione. Temi sui quali come membro degli organi dirigenti dell’Associazione Nessuno tocchi Caino, mi batto ogni giorno della mia vita, credendo che siano fondamentali per la nostra democrazia. Come lo credono anche alcuni magistrati illuminati: uno di essi è Otello Lupacchini, già Procuratore Generale di Catanzaro, che fu vergognosamente trasferito e processato per lesa maestà dal Csm per aver messo in dubbio l’inchiesta di Gratteri. Ho pensato, quindi, fosse il caso di chiedergli una dichiarazione: “Dopo tre anni dall’instaurazione della custodia cautelare a seguito dell’operazione Rinascita Scott, dopo alterne vicende tra carcere al 41 bis, arresti domiciliari, di nuovo carcere, quindi di nuovo arresti domiciliari, l’avvocato Pittelli è stato rimesso in libertà (anche se resta detenuto per altra causa) dal Tribunale che lo sta giudicando nella monumentale aula di Lamezia Terme. Non entro nel merito della penale responsabilità dell’imputato, ma dopo tanti anni di custodia per concorso esterno in associazione mafiosa, sarebbe preoccupante se le esigenze di cautela non fossero ancora cessate. Saremmo di fronte per un verso a un plateale fallimento del sistema cautelare stesso, che si sarebbe dimostrato assolutamente inutile, e per l’altro a un’inammissibile e intollerabile anticipazione della pena ante iudicium”. Questa riflessione del pm, severo ma garantista, che ha inchiodato la Banda della Magliana è importante perché mette il dito nella piaga: al giorno d’oggi la custodia cautelare è spesso abusata dalla magistratura per motivi che non hanno nulla a che fare con quelli, pericolo di fuga, inquinamento prove o reiterazione, previsti dalla Costituzione. Invece, viene usata per spingere persone a confessare o a fare nomi, per fare audience in inchieste mediatiche, per colpire avversari politici (come ha spiegato Palamara) o anche per far scontare la pena in anticipo a coloro che pm e gip ritengono colpevoli, quando credono sia facile che questi saranno assolti in seguito o che da condannati potranno evitare il carcere: così glielo si fa fare in modo preventivo. Tutte cose, non serve dirlo, contro la Costituzione. Cose che in Calabria avvengono quasi quotidianamente: tanto che il vecchio Comitato per Pittelli ha deciso di trasformarsi in un’associazione, Riforma Giustizia per la difesa dello Stato di Diritto, con il suo focus sul “caso Calabria”, dando la presidenza onoraria proprio a Lupacchini. Il problema è veramente nazionale, e una conseguenza è la situazione drammatica delle nostre carceri, dove quest’anno ben 81 detenuti si sono suicidati. Il numero più alto da decenni, tanto da far indignare persino Giorgia Meloni: e molti di essi erano in custodia cautelare, quindi presunti innocenti. Quindi urge intervenire, cioè che Nordio riesca a fare quello che a Marta Cartabia non è riuscito, e che il nuovo capo del DAP Giovanni Russo porti avanti, e non indietro, il percorso avviato dal suo predecessore Carlo Renoldi. Le parole del ministro su carcere, intercettazioni e Giustizia sono in buona parte quelle che noi da sempre speriamo di sentire. Speriamo che diventino fatti, per fermare un’emergenza che ha dato vita a un massacro e che non è accettabile in uno Stato di Diritto. Ha la nostra fiducia e avrà tutto il nostro sostegno.
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