Attualità

Il caloroso abbraccio di una Carnia al freddo

di Nicola Santini -


Ci sono luoghi dove, per me, poggiare la valigia sul letto è quasi un obbligo stagionale. Come il cambio armadi, come il cornetto d’estate, come la polenta il primo week end d’autunno. “Un week end in Carnia me lo merito”- è quello che mi dico quando la voglia di inverno si fa largo nella mia testa, pur non essendo un amante del freddo, ma adorando un certo tipo di freddo, che ha qualcosa di caldo: nel paesaggio, nelcibo, nell’accoglienza.
La Carnia innevata è un segreto che non tutti conoscono, ed è meglio così. Qui, tra vallate silenziose e borghi sospesi nel tempo, si respira un’aria diversa, quella che riempie i polmoni di quiete e meraviglia.
Non è la montagna patinata delle brochure, non ci sono, evviva Dio, lustrini né glamour. E nessuno li reclama, ancora meglio. È una montagna sincera, che sa di legno umido, di camino acceso, di neve che scricchiola sotto gli scarponi.
Arrivare in Carnia è come varcare la soglia di un altro mondo. Si parte presto al mattino, quando le cime sono rosate e il freddo pungente ti sveglia meglio di un caffè. La strada si inerpica tra boschi e piccoli paesi, dove le case sembrano stringersi per proteggersi dal gelo. Poi, finalmente, tutto si apre e la montagna, generosa e materna, ti abbraccia. Le prime tracce di neve ti accolgono quasi timidamente, poi diventano un tappeto bianco che ricopre ogni cosa.
Le mie giornate in Carnia iniziano con calma, come è giusto che sia per me. Ti svegli al tepore di una stufa in ceramica, magari all’Albergo Diffuso Zoncolan a Ovaro, dove il tempo sembra essersi fermato. La colazione è fatta di sapori autentici: pane caldo, burro di malga e marmellate preparate con la stessa cura di una volta. E già qui capisci che no, non c’è bisogno di correre, perché la Carnia non è una meta da consumare in fretta. Fuori, la neve invita all’avventura.
Le ciaspole sono d’obbligo, anche per chi non è abituato a usarle, tipo il sottoscritto. I sentieri, ben battuti ma mai affollati, si snodano tra boschi incantati e prati immacolati. Ogni passo affonda leggero, come se la neve ti accogliesse con delicatezza ed è questo lo spirito del luogo che prima affascina poi conquista. Poi ci sono i panorami, quei momenti in cui ti fermi, il fiato sospeso, e guardi l’orizzonte: cime che sembrano dipinte, il cielo di un azzurro che non ha rivali. È in questi attimi che la Carnia ti entra dentro.
Dopo la fatica, non esagerata, se no non mi crederebbe nessuno, arriva la ricompensa. Se il freddo si fa sentire, nulla è più rigenerante delle terme di Arta, che già da sole bastano per decretarlo come luogo del cuore. L’acqua calda avvolge e rilassa, mentre fuori il mondo resta congelato. Ma il vero lusso è il cibo, quello che ti aspetta al ritorno. Nei rifugi e nelle malghe, come Malga Pramosio, il frico è un rito, il prosciutto crudo un’opera d’arte, i cjarsons un mistero da assaporare. E mentre mangi, capisci che qui non si tratta solo di nutrirsi, ma di ritrovare il gusto della vita.
La sera cala presto in montagna, e con lei arriva il silenzio, profondo e avvolgente. Le stelle brillano più vicine, quasi a portata di mano, e ogni pensiero si dissolve. La Carnia non ha bisogno di rumore per impressionarti, non cerca di stupire. Ti conquista con la sua semplicità, con la sua anima genuina.
Così, alla fine, quando torni a casa, ti porti dietro non solo il ricordo di paesaggi incantati, ma una sensazione rara: quella di aver trovato un luogo che non ti chiede nulla, se non di essere te stesso. E nella Carnia innevata, questo è davvero tutto ciò che serve.


Torna alle notizie in home