Editoriale

Il bianco e il nero: la Tunisia ci dimostra in due mosse che dobbiamo cambiare strategia

di Tommaso Cerno -


La Tunisia ci dimostra in due mosse che dobbiamo cambiare strategia. E’ perfino stucchevole ascoltare le varie fazioni darsi la colpa per questi sbarchi improvvisi a Lampedusa. La questione è molto semplice e bisognerebbe cominciare a chiamare le cose con il proprio nome se si vuole uscire da questo labirinto in cui siamo finiti per darci dello stupido l’uno con l’altro mentre gli stupidi finiamo per essere un po’ tutti. La Tunisia ha ricevuto dall’Europa la promessa di soldi. Soldi che non sono arrivati. Soldi che hanno fatto capire più di tutto quale sia la vera natura dei nostri rapporti internazionali, sempre che non bastasse la guerra in Ucraina per comprenderne il senso profondo.

Come sempre Bruxelles ha parlato in un modo e agito in un altro. E così da Tunisi, che non è la Svizzera, ma questo lo sappiamo benissimo anche senza assistere a queste scene, è arrivato un doppio no. Il primo all’ingresso dei delegati europei, che significa sostanzialmente che ci venite a fare voi qui se poi ci prendete in giro. Il secondo alla tregua, perché per chi non l’avesse ancora capito il Mediterraneo non è più il confine tra l’Africa e l’Europa. Quel Mare Nostro è proprio nostro. E una volta che i migranti sono sull’acqua, sono nostri. La prima cosa da fare è rispettare la parola data, e non le chiacchiere di un memorandum che in una situazione di emergenza biblica come quella in cui viviamo vale quanto la carta per tenere fermo il tavolo al ristorante quando balla. Ma la seconda è cominciare ad ascoltare quello che da molto tempo i vertici militari dei Paesi europei che hanno davvero gestito in giro per il mondo situazioni gravi e di emergenza vanno ripetendo ai loro governi e che si raccontano tra di loro sull’unica via possibile per poter provare almeno a spostare il problema dal nostro dibattito surreale fra buoni e cattivi.

Che contiene in sè anche una contraddizione culturale e cioè che noi non possiamo accusare altri di razzismo o di lassismo se poi le due parti in contesa sono una bianca e una nera, molto più del colore della pelle di chi difendono o vogliono in qualche modo allontanare. Perché i veri bipolari, i veri incapaci di gestire situazioni complesse siamo diventati per assurdo noi che abbiamo fondato la nostra democrazia e il nostro modello culturale proprio sulla complessità. Il confine su cui agire per poter definire delle strategie e controllare i flussi delle milioni di persone che stanno cercando, spinte da ragioni più o meno giuste, di arrivare in Europa si deve spostare a meridione della Libia.

E’ quello il luogo che divide l’acqua bianca dall’Africa nera, dove forse è ancora possibile creare strutture in grado di definire i tempi e i modi di una migrazione che altrimenti finirà per travolgere le nostre risorse e le nostre prospettive di futuro. Siccome sappiamo che in questo Occidente che vive nel futuro quando progetta le case coloniche ma nel Medioevo quando ci si guarda intorno mentre si passeggia fuori di casa, non ha più un esercito in grado di spostare giovani ragazzi dalle loro rispettive famiglie per andare a gestire situazioni da fine del mondo, perché non abbiamo la forza politica di farlo, dobbiamo cominciare a rivedere quelle regole che nel dopoguerra furono scritte con il terrore che potessero nascere di nuovo in Italia e in Europa strutture militari che militari non erano.
Ma il mondo è cambiato, e non può esserlo solo quando aumentano i tassi e i debiti dei cittadini, deve esserlo anche nell’avere la capacità di adeguare le idee che hanno funzionato nel tempo alle necessità di oggi.

Ed ecco che i vertici massimi della sicurezza, quelli che ci capiscono qualcosa, parlano di introdurre nuovi tipi di compagnie di sicurezza private con cui costruire regole di ingaggio precise e rapporti scritti e precisi con i Paesi africani soggetti alle migrazioni di attraversamento verso l’Europa. Per spostare a sud della Libia quelle strutture che sono necessarie per capire chi sta arrivando, da dove sta arrivando e quali sono le possibilità reali di inserirlo o meno nel contesto europeo. Anche perché strutture tali in Italia non esistono. E nessuno ha pensato di realizzarle nei 30 anni in cui le migrazioni sono state per noi un chiaro segnale di cosa sarebbe successo nel futuro. Non vengano a dirci che la legge lo impedisce. Basta rileggere bene la storia dei due Marò, quella vera, per sapere che basterebbe un decreto almeno per avviare una sperimentazione che sposti di qualche centinaio di chilometri il grido d’allarme che oggi ci vede così impotenti e litigiosi fra di noi in quella Europa che invece fa la voce grossa quando deve chiedere i soldi ai cittadini e impone loro le regole di un futuro che però non sembra arrivare.


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