Attualità

Carini e la guerra di potere mette alle corde la boxe, lo scontro totale Iba-Cio

di Giovanni Vasso -


Angela Carini non ha perso. Ha perso la credibilità dello sport. E dopo il mare di polemiche che non si fermeranno su Imane Khelif (e sulla taiwanese Lin Yu-ting) dovrebbero pure emergere le questioni, che non sono certo un segreto di Stato, che hanno contribuito a far insorgere un cortocircuito mai visto. E un dibattito in cui, davvero, hanno preso la parola tutti. Endocrinologi compresi. Ma il tema, come sempre accade, quello vero, la ragione profonda, resta in secondo piano. Perché è vero, Angela Carini ha perso un match che pareva già scritto. Come è stato possibile che due atlete ufficialmente, legalmente e definitivamente squalificate dall’Iba, siano finite a gareggiare alle Olimpiadi?

Semplice, perché al di là della grancassa della sostenibilità e dell’inclusione, tra il Comitato olimpico internazionale e l’International boxing association c’è una vera e propria guerra. Di potere, sportivo e politico. Che, come prima conseguenza porterà (almeno per il momento) alla sospensione delle gare di pugilato dalle prossime Olimpiadi di Los Angeles, nel 2028.

Iba e Cio sono ai ferri corti (almeno) dal 2019. Non ha contribuito di certo a rasserenare i rapporti l’elezione, avvenuta nel dicembre 2020, del presidente Iba Umar Kremlev, russo e ritenuto vicino al Cremlino nonché al colosso energetico di Gazprom. Prima di lui, quando ancora si chiamava Aiba e si piccava del dilettantismo dei suoi atleti, c’era stato alla presidenza Wu Ching-kuo, nazionalità taiwanese, che sognava di diventare addirittura presidente del Cio e che  aveva portato la Federazione sull’orlo del disastro economico (anche) per seguire le sue ambizioni lasciando un buco da quindici milioni di franchi svizzeri. Subito dopo era arrivato Gafur Rakhimov, dall’Uzbekistan, costretto a dimettersi a causa di una raffica di indagini per accuse gravissime legate alla criminalità organizzata. L’arrivo di Kremlev e la crescente tensione internazionale non ha contribuito di certo alla distensione.

Le accuse di corruzione e di poca trasparenza sono deflagrate con la scelta, da parte del Cio, di disporre la revoca dell’Iba dal comitato olimpico. Intanto l’organizzazione, a maggio, ha fissato dei premi in denaro per gli atleti che avrebbero conquistato medaglie a Parigi. Il comitato olimpico non attendeva altro per azzannare l’Iba: “Come sempre, con loro, non è chiaro da dove arrivino i soldi”. Per la precisione, 100mila dollari: 50mila all’atleta, 25mila a testa per federazione e allenatore. Grazie all’iniziativa sghemba dell’Iba, il Cio ha potuto mettere nero su bianco la sua scomunica: “Qualsiasi pugile la cui Federazione nazionale aderisce all’Iba non potrà partecipare ai Giochi Olimpici di Los Angeles 2028.  Il Cio ha preso atto della decisione dell’International boxing association (Iba) per quanto riguarda i premi in denaro. Come sempre con l’Iba, non è chiaro da dove provengano i soldi. Questa totale mancanza di trasparenza finanziaria è stata proprio una delle ragioni per cui il Cio ha ritirato il riconoscimento dell’Iba”. Che, secondo il Cio. “non era disposta a spiegare in modo trasparente le fonti del suo finanziamento o a spiegare la sua totale dipendenza finanziaria, all’epoca, da un’unica società statale, Gazprom”.  Pertanto, “a causa della sospensione e della conseguente revoca del riconoscimento da parte del Cio nel 2023, l’Iba non è stata coinvolta ne’ nella qualificazione ne’ nell’organizzazione del torneo di boxe dei Giochi olimpici di Tokyo 2020 e non è coinvolta nemmeno per Parigi 2024. Le qualificazioni e i tornei olimpici sono stati e sono organizzati da unità di pugilato istituite dal Cio, a tutela degli atleti, delle Federazioni nazionali di pugilato e dei rispettivi Comitati olimpici nazionali (Noc). Per tutti questi motivi la boxe non è attualmente presente nel programma sportivo dei Giochi olimpici Los Angeles 28 tanto che il Cio non potrà più organizzare tali gare olimpiche di boxe”. Niente boxe a Los Angeles? Più una minaccia che una realtà: “La boxe olimpica deve essere organizzata da una federazione internazionale credibile e ben governata”. Che già ci sarebbe e si tratterebbe della World Boxing, una federazione nuova che ambisce a esautorare l’Iba prendendosi per sé il palcoscenico e la gestione planetaria del pugilato.

Ma l’incontro di oggi tra Angela Carini e Imane Khelif ha dato, inaspettatamente, all’Iba una freccia (infuocata) al suo arco. L’International boxing association ha ribadito le ragioni che avevano portato alla squalifica dell’algerina (e della taiwanese) affermando che entrambe le atlete, chi prima e chi dopo, avrebbero sostanzialmente rinunciato a fare ricorso. La loro squalifica, dunque, è tale e “irreversibile”, ma il Cio, impegnato a promuovere in maniera forse troppo esagerata i valori di sostenibilità (e ne sanno qualcosa gli atleti costretti a dormire su letti di cartone) e inclusione se n’è fregato dando all’Iba un argomento gigantesco per riportarsi al centro del ring. Insomma, la boxe femminile (ma anche quella maschile) ha perso. Ma le cause sono più profonde e complesse rispetto a una mera vicenda di uguaglianza e genere.È, come al solito, una vicenda di soldi e potere. Lotte che neanche nello sport mancano. Anzi.


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