I signori del taglia e cuci
Potrebbe sembrare un attacco ai 5stelle. Ma in realtà lo è a quel pezzo di storia italiana che, appoggiata fra il Covid e una speranza di rinascita, ha fatto davvero male i conti col futuro. Come un Paese in balia di una crisi economica nel mezzo di una pandemia a giocare una partita sul Pil dell’immediato, ipotecando 100 miliardi di euro di soldi degli italiani, per rimettere a posto almeno a parole delle case, tra l’altro senza nessun legame con i parametri europei sulle case ecologiche che prima o poi ci piomberanno sulla testa e richiederanno l’esborso di altre decine di migliaia di euro alle famiglie, e poi cantare di battaglie e di risparmi, fare conferenze stampa spiegando che qualche migliaio di euro dai propri stipendi sarebbero stati devoluti alle aziende in crisi. Che tutto si aspettavano da chi li governava tranne un ennesima voragine che, come vediamo in queste ore, è 10 volte più imponente di quanto la finanziaria, che deve sistemare i guai delle famiglie italiane e delle aziende, guai che vanno dalla mattina alla notte fonda, è in grado di investire.
Se quei 100 miliardi fanno paura anche solo a pronunciarli paragonati agli otto miliardi su cui partiti hanno cominciato il tiramolla per chi ha l’idea più brillante, non si capisce ancora bene se per le tasche degli italiani o per i risultati elettorali delle europee, c’è da avere paura. E avere paura anche che il governo di salvezza nazionale invocato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, guidato dal grande banchiere Mario Draghi, il Salvatore dell’Italia, l’uomo che avrebbe dovuto risistemare tutti i guai che i partiti avevano combinato, abbia invece prorogato proprio quel provvedimento che visto con gli occhi di oggi è peggio di una trivella che ha deciso di perforare l’ultimo tessuto vivo del Paese. Il tutto per mostrare un Pil a due cifre che non significa nulla.
E per lasciare il Paese in balia di un irrigidimento dei conti che pesa molto di più sulla psicologia e sulla finanza pubblica di quanto faccia qualunque cifra scritta sulla carta, qualunque statistica che allontana anni luce dell’economia reale, della vita quotidiana, dalle esigenze di padre, madre e figli di questo Paese. Bisogna correre ai ripari e non può essere anche questa una materia di contesa. Non può essere uno scontro bianco contro nero. Nessuno sta dicendo che chi ha inventato questo provvedimento immaginava che cosa avrebbe portato. Perché se questo fosse, se davvero il Parlamento aveva idea che il cappotto l’avrebbero avuto i conti pubblici sconfitti da chi doveva compilarli e salvaguardarli e avesse proseguito in questa impresa sarebbe un pazzo. E noi di pazzi ancora veri non ne abbiamo visti. Ma abbiamo visto come lo scontro aprioristico fra visioni politiche sia l’unico modo che hanno i partiti di distinguersi dagli altri. E questa continua rissa non fa che accecare tutti. Chi fa le scelte e chi le contesta.
E l’effetto per il Paese è molto semplice. Che alla fine pagheremo 100 miliardi quando avremmo potuto farne a meno. Che alla fine molto imprese falliranno quando queste imprese avrebbero dovuto crescere. Che alla fine le case degli italiani quando arriverà il macigno del salto ecologico saranno tutte da rifare. E noi saremo ancora a fare i conti con quegli 8 miliardi o poco più che la finanziaria riesce a mettere sul piatto in un momento di crisi epocale. Serve che il Parlamento distingua tra le grandi battaglie del Paese, quelle da combattere insieme, in un’ottica dialettica anche di contrapposizione ma legata al bene pubblico e di tutti gli italiani e quelle che connotano invece il profilo culturale e politico del governo, quelle che portano il simbolo di chi le ha ideate, quelle che sono patrimonio di una parte, che verranno giudicate dagli elettori prima nel passaggio delle elezioni europee di giugno e poi alle politiche.
Quando verranno pubblicati se non ripristiniamo questo caposaldo della democrazia noi continueremo ad assistere a governi che fanno e governi che disfano, governi che hanno ragione quando promuovono la propria campagna elettorale e che hanno improvvisamente torto quando tutto questo si manifesta. È un lusso che non si possono permettere più i Paesi democratici. Perché il mondo a cui facevano riferimento è cambiato ed è cambiato più velocemente di quanto siano cambiate le nostre regole, le nostre abitudini. Esistono oggi delle alternative culturali pesanti, di fronte al rischio di un nostro fallimento, e sono questi piccoli gesti, il rispetto di chi vive e lavora, che ci devono portare a una distinzione maggiore fra quello che è l’utile partitico e quello che è l’interesse del Paese. Non è possibile che di fronte a questi dati, queste prospettive, questi rischi davvero si continua a insistere che la ragione è stata tutta da una parte. È il modo per schiantarsi di nuovo. È il modo per dimostrare di non avere capito che cosa significa cappotto. Quando vince solo uno. Ma poco dopo si capisce che fa bene solo a lui.
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