Politica

I processi inutili e il dialogo perduto

di Redazione -


di FRANCESCO DA RIVA GRECHI

La fedeltà al metodo utilizzato da chi scrive, di leggere nella prospettiva del giusto processo costituzionale ogni vicenda, sia che riguardi imputati di rilievo pubblico, sia ignoti e malcapitati cittadini, non subirà eccezioni neanche questa volta. Il quesito è sempre lo stesso. Quanto sarà utile il rinvio a giudizio del sottosegretario Delmastro? Sicuramente nulla.

Non c’è alcuna possibilità di arrivare ad una condanna sensata, per un reato che non esiste nella concretezza. Sicuramente non in Cassazione, almeno nella consueta veste della Suprema Corte di effettiva autorità di garanzia della logicità delle argomentazioni dei giudici di merito.

Il balletto dell’esercizio del potere, tra procure e giudici, nelle prime fasi dei processi, sulle spalle della politica e degli avvocati, sarà quindi del tutto senza sbocco anche questa volta. Non più tardi di due settimane fa, si è plaudito all’incontro della premier Meloni con il capo della Procura Nazionale Antimafia ed i vertici delle procure distrettuali, anche se non si poteva certo sperare che lo stesso clima si respirasse nelle indagini e nei processi che riguardano dei personaggi politici di alto rilievo, soprattutto della maggioranza di governo e del partito di Giorgia Meloni.

Il dialogo, che sarebbe quanto mai necessario, e soprattutto, come ha ripetuto più volte lo stesso Ministro Crosetto, la fiducia reciproca, sono le prime vittime di ogni processo, assurdo come questo, in cui si va non solo a sindacare l’esercizio del singolo mandato parlamentare in vista di un discorso in aula ma addirittura per un reato previsto nell’interesse della pubblica amministrazione.

Si tratta di un reato “proprio” nel senso che può imputarsi esclusivamente ad un “pubblico ufficiale”. Senza nulla togliere a questa qualifica, che pure, latu sensu, si attaglia ad ogni soggetto che esercita una pubblica funzione o pubblico servizio e quindi anche ad un parlamentare, ma che è incredibile possa utilizzarsi per l’applicazione di una pena ad un altro parlamentare eletto, che esercita la sovranità popolare e la funzione d’indirizzo politico, in rappresentanza dei suoi elettori.

Si tratta allora di un’azione penale, che, ad un giudizio sereno, non potrebbe che rivelarsi inammissibile. E allora, come interpretare il rinvio a giudizio del sottosegretario Andrea Del Mastro? Naturalmente non si vuole degenerare verso il sospetto o l’illazione, ma come interpretare le infuocate dichiarazioni di questa settimana sul rapporto tra politica e magistratura?

Mai si potrà ritenere, sia chiaro, che un rinvio a giudizio possa dipendere da opportunità di carattere politico, al quale devono essere estranee tutte le attività giurisdizionali, pena la perdita di autonomia ed indipendenza di tutto l’ordine giudiziario. In questa sede mai saranno in discussione i suddetti principi fondamentali.

Lo stesso rigore, tuttavia. impone, allo stesso tempo, di non accettare mai che un processo sia inventato a carico di un parlamentare e membro del governo, senza plausibili ragioni di qualsivoglia carattere, da questo o quell’altro singolo magistrato. Si ritiene anzi che sarebbe da considerare un vizio che potrebbe costituire valido motivo d’impugnazione, un’attività giudiziaria manifestamente inutile, priva di qualsiasi fumus boni iuris, come in questo caso.


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