Attualità

I POTERI CORTI – Semplificazione digitale o intermediazione?

di Marco Travaglini -


È risaputo che nel nostro amato Paese tra leggi, leggine, decreti, lacci e lacciuoli, arriviamo a centinaia di migliaia di misure che spesso si sovrappongono, alcune volte si contraddicono, altre – come successo in diversi casi – cambiano radicalmente con i successivi decreti attuativi, deputati alla messa a terra di quanto normato. Del resto, è pur vero che l’approccio e l’esecuzione sono il nostro vero vulnus. Nel corso degli anni, nel susseguirsi di ministri e ministeri, tra quello della Semplificazione fino ai dipartimenti dedicati, a quello della Pubblica Amministrazione, il nostro Paese ha fatto passi importanti nel campo della digitalizzazione. Mi domando però, soprattutto nel contesto imprenditoriale italiano, se la mera semplificazione digitale sia, da sola, capace di ridurre tempi e costi da dedicare alla creazione di valore aggiunto? L’idea che mi sono fatto, soprattutto negli ultimi anni, è che le soluzioni semplificative e tecnologiche che propongono la Pubblica Amministrazione e, ancora di più, il mondo privato – e che tendono a disintermediare quanto più possibile la vita del cittadino – hanno complicato le cose e portato, paradossalmente, ad accrescere il bisogno di mediazione, sia in fase progettuale che d’attuazione, in coloro che devono stare al passo con la progettazione dell’utilizzo tecnico degli stessi strumenti tecnologici, per migliorare la propria offerta di prodotti e servizi.

Prima del 2004, non esistevano le soluzioni digitali del mondo di oggi: social network; piattaforme di e-commerce; software per servizi digitali vari; otp e pagamenti elettronici; app e smartphone dovevano ancora vedere la luce, figuriamoci i tool di intelligenza artificiale, che sembrano astronavi immateriali semplificate. A differenza del cittadino, che utilizza tali soluzioni per una singola funzionalità finale, l’imprenditore, ancora “hard” nel suo prodotto fisico, ha dovuto e deve fare i conti con la propria (in)capacità di riuscire a sfruttarle per generare nuovi servizi vicini al prodotto offerto, comunicare e vendere in maniera differente, mixare investimenti produttivi, così da migliorare la (famosa…) produttività. Ci rendiamo conto di quanto tutto ciò sia complesso, sia a livello normativo – sappiamo bene che l’Unione Europea sviluppa sempre una “reazione di legge” al progresso – che tecnico-operativo? E se il problema formativo e di approccio culturale stentano verso tali questioni, la soluzione dell’intermediario tecnico è l’unica possibile per tale nuovo modo di fare impresa. Insomma, semplificare va bene per il cittadino che beneficia del risultato, ma all’imprenditore servono degli intermediari capaci di semplificare la complessità di tale semplificazione. Un ossimoro su cui riflettere molto.


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