I POTERI CORTI – Le dimensioni contano
Non pensate male, si parla d’impresa e di “piccolo”, che un tempo “era bello”, e che invece oggi è una dimensione devastante per la produttività del Paese.
Il nanismo imprenditoriale e la frammentazione del sistema produttivo sono la causa primaria della (in)capacità produttiva del nostro Paese.
Dati OCSE indicano che la bassa produttività ristagna nelle imprese sotto i 10 dipendenti: 4,2 milioni sulle 4,5 totali, a differenza delle medie che invece stanno avanti di molto, anche rispetto alle concorrenti francesi o tedesche.
In Italia, la dimensione media d’impresa è di quattro unità di lavoratori circa, contro una dimensione media tedesca di 6,9 addetti per impresa che, nella globalità tra grandi e piccole, offre una maggior produttività, scavalcandoci di molti punti.
La dimensione piccola però non è la causa su cui lavorare, ma piuttosto una conseguenza di mentalità, territorialità, economia basata sulle relazioni anziché sulle competenze, focus sul solo prodotto senza attenzione ai processi e alla comunicazione, dipendenza da banche o da un solo cliente, e mancata interazione con imprese più innovative e mondo accademico.
Queste sono le vere prime cause che determinano conseguenze come la sottocapitalizzazione, la mancanza di liquidità e la successiva sfiducia nell’investire in sviluppo, formazione, innovazione, tecnologia e figure professionali. Cause che non sono sole ma affiancate, da un lato, ad una mentalità di investitori privati che depositano i loro fondi ancora nel mattone o in obbligazioni di realtà più consolidate; dall’altro, alimentate da una crisi permanente degli ultimi 23 anni.
A tali combinati disposti, aggiungiamo l’elemento burocratico, che è vero che oggi offre molto con PNRR o fondi di sviluppo, ma rimane pur sempre legato a formule che necessitano di liquidità per affiancare o anticipare i fondi stessi.
Che fare?
Come aumentare la dimensione delle piccole imprese e la loro produttività? Nessuno ha la bacchetta magica e di Maghi Merlini ce ne sono tanti che ipotizzano soluzioni di “proiettili d’argento”. Tuttavia, non si è mai focalizzata l’attenzione sul punto di partenza, che è quello di definire una “dimensione minima” per fare impresa oggi.
Quella dimensione che permetta di poter crescere velocemente, se si creassero i presupposti di fiducia e ambiente, ma anche quella che consenta di poter lavorare più a “fisarmonica”, sia per quantità che per qualità e servizi. L’ipotesi di lavoro è portare le imprese da un approccio artigianale a un modello più industriale e digitale. Ciò implica non solo investire in operatori di produzione, ma anche internalizzare competenze in comunicazione, finanza, tecnologia e digitale, consentendo così agli imprenditori di realizzare idee più rapidamente e implementare progetti di sviluppo.
Insomma, una dimensione minima più legata a figure professionali che generino lavoro e non che lo eseguano solamente.
È li che il piccolo diventa già grande, intanto nella mentalità e nel primo passo.
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