Torino

I funerali di Gaetano Renda, un vero signore che amava il Cinema

di Redazione -


C’è un manifesto all’ingresso del cinema Centrale che reclamizza in questi giorni la versione sottotitolata di “No Other Land”, una delle versioni originali proposte al pubblico da parecchi anni – ti verrebbe dire da sempre -, perché quel pubblico, il suo pubblico, ci facesse l’abitudine e imparasse ad amare le voci degli attori. Un mondo tutto sommato ancora lontano da noi. Era una di quelle cose di cui andava più fiero Gaetano Renda, un’usanza, un’appendice che poi molti esercenti cinematografici torinesi avevano adottato. Dopo di lui. Gaetano è scomparso venerdì scorso e ieri mattina, in quel Centrale che era il “suo” cinema, dove ancora prima di lui s’andava a vedere il “cinema d’essai”, una nicchia cinematografica di rispetto e di passione che lui continuava a tenere ben alta, là dietro quell’ufficio dentro cui inventare rassegne e programmazione – entravi, salivi quella scaletta di pochi scalini e iniziavi le chiacchierate, intervallate da telefonate e appunti e schizzi che amava buttar giù su fogli di carta presi a caso e poi magari ci scappava un pranzo veloce veloce, altri impegni, altri incontri, ma per poterle continuare -, si sono svolti i funerali, quasi una festa d’addio dei tanti amici, la musica e le immagini in sottofondo, che fanno tutto un percorso, il funerale laico di quanti l’hanno conosciuto e apprezzato. Una sala piena di passi lenti e di abbracci, di ricordi e di occasioni, un lungo nastro di amicizia e di occhi gonfi che si dipanava, il feretro di Gaetano lì sotto lo schermo, ma ti rendevi conto – senza troppo facili sentimentalismi – che, lui, lo potevi ancora “sentire”, lui girava tra le poltroncine rosse, guardarlo dentro lo sguardo intelligente e simpatico e sempre disponibile, interrogarlo, stringergli la mano come avevi fatto molte volte.

Dentro quella sala, dove fa da sbarramento con la spazio della cassa una porta che ha su un verso quella frase che suona “… e da quel giorno vissero sempre felici e contenti”, basta un attimo ed entrare per ritrovare due ore di felicità. E là sullo schermo, con gli amici di sempre a presentare i loro film, Antonio Albanese con “Cento domeniche” e Giorgio Diritti con “Lubo” e cento altri, gli incontri con gli autori e con i film da promuovere, il pubblico che riempie i Fratelli Marx e i Due Giardini – che erano stati gli antichi Selene di corso Belgio e Giardino di via Monfalcone: ma prima s’era già avventurato a risollevare le sorti maldestre del Cabiria di borgo San Pietro, al confine tra Moncalieri e Torino o ancora il filiforme Po della via omonima che aveva con una risata ribattezzato King Kong -, le lunghe file di spettatori che per anni (una decina d’anni, dal 1981) hanno raggiunto la piazzetta interna di Palazzo Reale in cui Gaetano aveva il compito di organizzare le sere d’estate di titoli accattivanti, di sicurissima presa. Frammistate, le immagini felici nel settembre scorso della consegna del 10° Premio Carlo Lizzani, dalla mani di Alberto Barbera, “all’esercente cinematografico più coraggioso” dice la motivazione, a Gaetano che godeva della sua veste di amante del cinema, di ricercatore e scopritore (ri-scopritore, perché no) di titoli e persone – “70 film in sei giorni per riscoprire il cinema” titolava un quotidiano in passato o rifar scorrere sullo schermo “Rapina a mano armata” o “Butch Cassidy”, “Il grande freddo” o “Taxi Driver”, “Leon” o “Per favore, non mordermi sul collo”, o le disillusioni di “Non si uccidono così anche i cavalli?”, le retrospettive e le maratone – ma che s’etichettava con grande felicità come appunto “esercente”. Fu anche produttore (per la coppia Franceschi/Haber con “Scacco pazzo”), dal giugno 2017 all’ottobre 2023 fu membro del Comitato di Gestione del Museo del Cinema e oggi il presidente Enzo Ghigo ne ricorda “il suo apporto sempre attento e puntuale”: ma il sguardo e il suo lavoro ritornavano ancora là, ai luoghi più suoi. Sino all’ultimo, se ancora la scorsa settimana, confessava un vecchio quanto emozionato collaboratore, pensava a rassegne ancora e a titoli da programmare.

Aveva iniziato risalendo lo stivale per raggiungere Torino, ritrovare tanti piccoli mestieri per vivere e poi laurearsi, era stato sul finire degli Ottanta il primo distributore in città della nuova Lucky Red di Andrea Occhipinti, aveva consolidato la collaborazione quotidiana con il compagno di cordata Fulvio Marcellino, era quel vero signore che combatteva per la vita delle sale cinematografiche, in modo autentico, senza nascondersi e senza nascondere nulla a nessuno, che – entrando in una sfera più privata – ascoltava i tuoi desideri, esaudiva le tue proposte. Piccole cose, anche, ma significative, in cui lui credeva, in cui si credeva insieme. Potevano essere semplici piccole personali di pittori da ospitare nell’atrio del Centrale; poteva essere una pubblicazione quindicinale, che riguardava le uscite nel circuito Arthouse, cinema ça va sans dire, per spargere notizie, per interessare, per spingere il pubblico a frequentare e amare. Piccola cosa, ma Gaetano ci credeva, come in tutte quelle idee che gli passavano per la testa. Per questa sua determinazione, anche, Gaetano ci mancherà. E mancherà a moltissimi.

sa, ma Gaetano ci credeva, come in tutte quelle idee che gli passavano per la testa. Per questa sua determinazione, anche, Gaetano ci mancherà. E mancherà a moltissimi.

Elio Rabbione ilTorinese.it


Torna alle notizie in home