I dazi di Trump: boomerang per gli Usa e opportunità per l’Europa?
L’annuncio di Donald Trump sulla possibile imposizione di dazi del 25% contro i paesi europei ha sollevato numerosi interrogativi sul futuro delle relazioni commerciali transatlantiche. Se da un lato queste misure sembrano essere motivate dal tentativo di proteggere l’industria statunitense e ridurre il deficit commerciale, dall’altro rischiano di innescare un processo di isolamento dell’economia americana con effetti a lungo termine difficili da prevedere.
Paradossalmente, i dazi minacciati da Trump potrebbero rivelarsi un’opportunità per l’Europa. Da un lato, infatti, l’imposizione di barriere commerciali spingerebbe i paesi europei ad accelerare in innovazione ad alto valore aggiunto, perché i settori di produzione innovativa sono quelli meno “sostituibili” dalla produzione interna americana. Dalle eccellenze enogastronomiche fino alla moda ed alle biotecnologie, le industrie americane non saranno in grado di rimpiazzare le importazioni di prodotti europei nel breve e forse neanche nel lungo termine. Ciò spingerà le economie europee a sviluppare sempre più i settori innovativi ed efficienti, lasciando la produzione più dozzinale ad altre aree del mondo, che invece saranno più duramente colpite dalle politiche fiscali americane. Non sarà un processo completamente indolore, ma provocherebbe un’accelerazione verso una riconversione industriale europea ad alto valore aggiunto, che è una garanzia di sostenibilità e resilienza. Allo stesso tempo, la marcia indietro di Trump sulla riconversione delle industrie americane in senso “green” (sommata ai dazi esteri) produrrebbe nuove opportunità di mercato per tutte quelle industrie europee che invece avranno adottato processi produttivi sostenibili.
Per esempio, la fuga dei consumatori da Tesla potrebbe essere una manna per l’automotive europeo che voglia unire sostenibilità ed eleganza (sempre che i produttori europei siano capaci di non farsi superare dai cinesi in questo settore). Non solo, ma la decisione di Trump di mettere in campo politiche autarchiche potrebbe finalmente creare le condizioni in Europa per una scelta coraggiosa di autonomia energetica, liberandosi dalla dipendenza nei confronti dei dittatori degli idrocarburi e puntando con radicalità sulle rinnovabili diffuse (essendo il continente sprovvisto di grandi risorse fossili proprie). Infine, la legislazione europea in ricerca e sviluppo potrebbe offrire un volano di attrazione per tutti quegli investitori e imprenditori americani operanti nel settore delle tecnologie green, messi in grande difficoltà dall’America trumpiana. Se colta con astuzia (e anche un pò di cinismo), la fuga di cervelli e miliardi nei settori della sostenibilità potrebbe portare in Europa (ed in Italia) moltissime risorse finanziarie e competenze chiave per rendere il nostro continente (ed il nostro Paese) un vero e proprio leader incontrastato nell’economia del futuro. Se l’Europa riuscirà a trasformare questa sfida in un’opportunita, per esempio facilitando un travaso di fondi e competenze dall’altro lato dell’Atlantico, l’America di Trump potrebbe trovarsi progressivamente isolata in un mondo sempre più interconnesso.
Mentre le grandi economie mondiali investono nella diversificazione energetica e nell’innovazione tecnologica, gli USA invece si troverebbero ancorati a un modello economico che guarda al passato piuttosto che al futuro, con un effetto lock-in che potrebbe bloccarli per decenni. L’imposizione di dazi, quindi, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: invece di proteggere l’economia americana, potrebbe accelerarne il declino competitivo su scala globale, rafforzando al contempo l’Europa in settori strategici fondamentali per il futuro dell’economia mondiale. L’Europa saprà cogliere questa opportunita?
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