Politica

PRIMA PAGINA-I bonus contentino e le misure strutturali

di Giuseppe Ariola -


Chi lo fa con i bonus, chi con misure strutturali. Di certo, l’obiettivo di ogni governo, detto in maniera spicciola e, forse, anche un po’ banale, è ovviamente quello di migliorare la vita dei cittadini. E non potrebbe essere diversamente, fosse solo per il fatto che, al di là dell’evidente responsabilità in capo a chi è chiamato a gestire la ‘cosa pubblica’, il consenso si misura proprio sul gradimento che gli elettori sono chiamati a esprimere nelle urne. Certo, accontentare tutti, considerata la vastità della platea a cui si è chiamati a rispondere è tutt’altro che semplice, praticamente impossibile, tanto più per la necessità di coniugare una moltitudine di esigenze specifiche, diverse tra loro quando addirittura non antitetiche, con l’espletamento degli affari correnti, ordinari e straordinari, oltretutto stando attenti a far quadrare i conti pubblici. Bisogna quindi scegliere dove intervenire cercando di trovare il modo migliore e più efficace per farlo. A fare la differenza sono le modalità con le quali si decide di intervenire e gli effetti che le singole strategie adottate producono. Su questo il centrodestra e il centrosinistra hanno visioni estremamente diverse come dimostrano chiaramente le differenti misure adottate negli anni e, soprattutto, gli effetti che producono. Insomma, da un lato ci sono interventi strutturali, dall’altro la politica dei bonus.
Il centrodestra per lasciare più soldi nelle tasche degli italiani è sempre intervenuto riducendo la pressione fiscale in vario modo. Tutti ricorderanno l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e quella della tassa di successione voluta dai governi Berlusconi. Misure strutturali – e non bonus una tantum – che rendono quindi anche facile quantificare le entrate nella casse dello Stato. Il governo Meloni è, invece, intervenuto con il taglio del cuneo fiscale, ovvero del costo del lavoro, e con la riduzione dell’Irpef portando gli scaglioni dai precedenti quattro agli attuali tre. L’obiettivo adesso è quello di abbassare di due punti la seconda aliquota così da sostenere il cosiddetto ceto medio del quale fanno parte settori fondamentali per l’economia del Paese. Il combinato disposto della misura sul costo del lavoro, insieme a tutta un’altra serie di iniziative tese a favorire le assunzioni, e di quella a sostegno dei redditi fino a 60 mila euro, oltre a lasciare più soldi ai contribuenti, offre il duplice vantaggio di incidere positivamente sui livelli occupazionali e di rilanciare i consumi e quindi il commercio e l’industria alla luce di un maggiore potere d’acquisto delle famiglie. Ovviamente, gli effetti di questi provvedimenti si protrarranno negli anni per le fasce di popolazione interessate, determinando anche una certa stabilità. A tutto ciò, vanno poi aggiunti i sussidi per sostenere chi si trova in condizioni di particolare difficoltà.
Per quanto riguarda la sinistra, invece, le principali e più recenti iniziative sono state essenzialmente il bonus degli 80 euro introdotto dal governo Renzi e il famoso reddito di cittadinanza voluto da quello guidato da Conte. In entrambi i casi si tratta di soldi, dall’ammontare significativamente diverso, messi nelle tasche dei cittadini. Attenzione, non a caso parliamo di tasche, invece che di busta paga, e di cittadini, al posto di lavoratori perché, se l’incentivo voluto da Renzi almeno era diretto a sostenere gli stipendi più bassi, quello grillino era esclusivamente un sostegno che non prevedeva una retribuzione a fronte di una prestazione professionale. Al contrario, il beneficio era incompatibile con l’espletamento di un’attività lavorativa. Si badi bene, è chiaro che chi vessa in condizioni svantaggiate, magari proprio perché un lavoro non ce l’ha o lo ha suo malgrado perso deve essere aiutato dallo Stato, ma l’aiuto principale, oltre a quello economico, dovrebbe essere proprio quello di favorirgli l’ingresso nel mercato del lavoro. I 5 Stelle, invece, tronfi della loro geniale trovata, annunciata in pompa dal balcone di Palazzo Chigi, nel provvedere ad “abolire la povertà” hanno contestualmente fatto fuori anche il lavoro e favorito una lunga serie di truffe che sono costate miliardi ai cittadini per bene. Quelli che ogni mattina si alzano per andare al lavoro e pagano le tasse, tante o poche che siano.


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