Cultura & Spettacolo

Haydn, lo Stabat Mater e l’illusione dell’ironia

di Redazione -


di RICCARDO LENZI

Questo “Stabat mater” di Franz Joseph Haydn diretto da René Jacobs (cd Pentatone) sembra fatto apposta per mettere d’accordo detrattori ed esaltatori dell’opera del compositore austriaco, come lo scrittore Alberto Savinio, pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico, fratello del grande pittore Giorgio, che lo definiva «Una mente del tutto sfornita d’intelligenza, e che tutte le forme laudative con cui i critici musicali hanno circondato finora la musica di Haydn possono essere riassunte in queste due parole: musica stupida» e il pianista e musicologo Glenn Gould, che all’opposto lo paragonava, preferendolo, a Mozart.

Il direttore d’orchestra René Jacobs, oggi settantenne, ha iniziato la sua carriera come corista e in seguito è diventato uno dei più affermati controtenori, prima di passare gradualmente alla bacchetta negli anni Settanta. Non sorprende perciò che abbia una sensibilità particolare nel trattare la voce umana, dirigendo con sapienza sia i solisti che i coristi protagonisti di questo disco. L’esecuzione è impreziosita dalla prova della Kammerorchester Basel e dalle voci della Zürcher Sing-Akademie, tradizionalmente a loro agio sia nell’ambito del barocco che nel repertorio contemporaneo e in tutte le situazioni intermedie. Non sono da meno i quattro solisti vocali: il soprano norvegese Birgitte Christensen ha una bella voce lirica e canta con una leggerezza di tono che ben si attaglia al “mondo della Luna” haydniano. Il contralto svedese Kristina Hammarström, stella internazionale del repertorio barocco negli ultimi vent’anni, esibisce il suo canto fluido, puro velluto, ben modulato sugli archi guizzanti dell’ensemble svizzero. Anche il tenore australiano di origine malese Steve Davislim ha una voce lirica ideale per questo repertorio, dove lo stile lirico-drammatico non deve mai essere completamente disgiunto da quello galante.

Il basso Christian Immler, celebrato in passato per le sue esibizioni in alcuni Lieder su testi di Heine, esegue le due drammatiche arie che gli competono con grande fervore, mai disgiunto da un ammicco lievemente narcisista. In un testo che descrive l’evento più tragico della vita di Cristo, Haydn riesce a trovare il tipico equilibrio tra pathos ed espressione drammatica, regalandoci una rappresentazione composta e distanziata, ben diversa da quelle espresse in maniera potentemente appassionata dalla scuola italiana (basta pensare ai capolavori di Pergolesi e Scarlatti). La partitura fu composta originariamente nel 1767, ma questa registrazione utilizza un’edizione del 1803 con un’orchestrazione di fiati ampliata, creata da Sigismund Neukomm, allievo e stretto collaboratore del compositore austriaco, che rende l’opera ancora più densa di significati e colorita. In questo capolavoro Haydn si rivelò drammaturgo musicale raffinatissimo, degno allievo di Nicola Porpora nel trattamento delle voci. Gli attributi dell’arguzia e dell’umorismo nella musica di Haydn sono stati oggetto di dibattito dai tempi del compositore a oggi.

Il paragone fra Haydn e lo scrittore inglese Laurence Sterne è particolarmente illuminante. Tutti e due richiamano l’attenzione sulla natura artificiale delle loro opere. Questo divertito e arbitrario utilizzo dell’illusione estetica determina in effetti un senso di distanza ironica fra l’artista, la sua opera e il pubblico. Un critico, William Freedman, propose addirittura una lettura del “Tristram Shandy” di Sterne come romanzo sinfonico, sulla base del ripetuto impiego di riferimenti musicali e dell’analogia con certi schemi formali della musica strumentale. Particolarmente brillante la riflessione dello scrittore Jean Paul, secondo il quale Sterne amava discorrere a lungo e ponderatamente di certi fenomeni, per poi concludere alla fine che non c’era nulla di vero. E qualcosa di bizzarramente simile si avverte nella musica di Haydn, che annulla intere aree tonali mediante l’improvvisa introduzione di una tonalità estranea, e imperversa volubilmente fra pianissimo e fortissimo come fra presto e andante.


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