I venti di guerra fanno schizzare l’oro alle stelle
I venti di guerra che attraversano in lungo e in largo l’orbe terracqueo scatenano la corsa all’oro. Che, adesso, è quotato intorno ai 2.900 dollari l’oncia. Il biondo metallo macina record su record. Gli analisti sono più che sicuri: di questo passo la soglia dei 3mila dollari sarà varcata molto presto e chissà, a quel punto, fin dove potrà arrivare il prezzo. Dietro la fortissima rivalutazione dell’oro, che ormai da qualche anno sta continuando a segnare primati nelle quotazioni, non c’è che un mistero buffo o, se preferite, un segreto di Pulcinella. È vero, non ce lo diciamo apertamente. Verissimo, nessuno lo ammette e, anzi, c’è una corsa a confinare il (vero) protagonista di questa vicenda il più lontano possibile. Ma, in realtà, il prezzo dell’oro sale perché nella guerra ci siamo immersi dentro. E da molto tempo prima che l’Europa iniziasse la girandola d’annunci di riarmo e, se possibile, anche da prima che Donald Trump nemmeno s’insediasse per il suo secondo mandato alla Casa Bianca. La velocità con cui l’oro si sta rivalutando racconta il precipitare degli eventi, quanto e come cioè i fenomeni intorno al mondo stiano avvenendo a ritmo serrato, rendendo più rapido un processo che era già incardinato da tempo. Alle tensioni in Medio Oriente, alla guerra guerreggiata tra Russia e Ucraina oggi si unisce, in maniera “ufficiale”, il conflitto a suon di dazi tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. Chi è abbastanza freddo e cinico, come lo Zeno Cosini di Italo Svevo, preferirà investire nelle merci, nelle materie prime, per specularci su. E guadagnare così milioni e milioni. Chi, invece, è più tradizionalista acquisterà quanto più oro sarà possibile. Tentando di salvare il valore del suo patrimonio. È la vecchia storia della guerra, che è fenomeno prima economico che bellico: prima oro e poi tutto il resto.
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