Economia

Green e hi-tech, l’Europa nelle fauci del Dragone

di Giovanni Vasso -


Green e hi-tech. L’intelligenza artificiale parla sempre più cinese e l’Europa rischia, seriamente, di perdere la sua autonomia e sovranità digitale. Lo ammette, in un report, la Commissione Ue. Che snocciola, una per una, tutte le aree economiche e produttive, tutte le supply chain in cui la Cina è praticamente egemone. Oltre al digitale, un altro settore chiave che risulta praticamente in mano alle aziende del Dragone è quello delle tecnologie green. Per l’Ue un paradosso che sa di smacco: l’all-in di Bruxelles sull’eco-friendly ha offerto, ai cinesi, una chance importante per imporsi come partner obbligato per quello che resta dell’industria europea.

Credere che si tratti di un fenomeno di oggi è sbagliato. Tutto nasce alla fine dei rutilanti anni ’80 quando, con la caduta del Muro di Berlino, il mondo s’è rimpicciolito fino a diventare il “villaggio globale” che avrebbe inverato la fine della storia profetizzata da qualche professore forse un po’ troppo ottimista. La Cina ha accolto, sul suo territorio, decine e decine di aziende occidentali. Che avevano scelto di puntare sull’outsourcing, la tristemente nota delocalizzazione, cioè di abbattere i costi della manodopera nazionale affidandosi ai più accoglienti e meno sindacalizzati Paesi in via di sviluppo. Ma Pechino, a differenza di altre realtà, ha fatto tesoro di quell’esperienza fino a diventare il gigante tecnologico, oltre che economico, di oggi. Adesso che la retorica del villaggio globale esiste solo nei depliant dei tour operator, l’Occidente sta tentando di riportare in patria i suoi gioielli produttivi. L’Ira di Biden ha inaugurato un’epoca nuova di reshoring, cioè di ri-localizzazione.

I numeri valgono più di mille parole. Stando a quelli pubblicati nel report Ue, la Cina detiene oggi il 40% della capacità produttiva globale delle pompe di calore. Ed è ancora niente. Dall’Asia, infatti, arriva il 50% dei veicoli elettrici e in Cina si confeziona il 75% delle batterie per auto elettriche. Finita qui? Macché. Arriva da Pechino l’85% delle turbine per le pale eoliche offshore mentre, per quel che riguarda il fotovoltaico, la Cina produce il 95% dei wafer, uno dei componenti essenziali per la produzione di celle solari. Dal green al digitale, il passo è breve e la situazione non cambia. Secondo il rapporto della Commissione, infatti, la Cina può vantare più del doppio di aziende e progetti legati all’intelligenza artificiale rispetto a quanti ne abbia l’Europa. Inoltre, insieme a Taiwan, drena il 60% dei ricavi complessivi globali derivanti dal mercato dell’hardware digitale biomedicale, informatico, chip e componenti necessari per far funzionare ogni genere di dispositivo, dagli smartphone fino alle stampanti 3D. Stando agli analisti europei, la posizione dominante della Cina esporrebbe l’Ue “a sviluppi sfavorevoli” sull’intero scenario mondiale, imponendo al Vecchio Continente (e all’Occidente) di adottare standard imposti proprio dalla produzione asiatica. Insomma, oltre al danno economico e strategico, la beffa dell’irrilevanza normativa. Ma c’è un altro pericolo che incombe sull’Europa. È quello che accade quando ci si affida ad altri e questi non hanno le stesse nostre priorità. Il rischio, per gli osservatori Ue, sta nel fatto che l’Europa, dipendente com’è dalla Cina, nuova potenza tecnologica in piena ascesa, debba “accontentarsi” di ciò che la produzione asiatica offre. Questo perché a Bruxelles la paura è che si possa fermare il progresso tecnologico nei settori che l’Europa ritiene centrali e che, invece, Pechino non crede siano utili ai suoi interessi. Ciò non è peregrino. Anche perché il dominio cinese nel green e nell’hi-tech è basato non sulla semplice catena di montaggio ma su un sistema culturale e universitario di tutto rispetto. Sono gli scienziati cinesi i primi, al mondo, per numero di ricerche su questi settore chiave per lo sviluppo globale. Dalla Cina arriva il 25% degli studi, l’Europa invece si ferma solo al 20%. Gli Stati Uniti arrancano all’11%. Ricerche che, però, sono davvero valide e riconosciute al punto che il 16% delle ricerche più citate al mondo è firmata proprio da studiosi cinesi. Quelli europei si “accontentano” del 14%, peggio anche degli americani che vantano il 15% delle ricerche citate nel mondo. Insomma, su green e hi tech la Cina fa sul serio. La sovranità tecnologica dell’Europa è a rischio. E se ne sono accorti anche a Bruxelles.


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