GRAVI INDIZI DI REATO – Intervista a Pietro Orlandi: “Emanuela non è morta, troveremo la verità”
Da anni si parla del caso Orlandi, perdendo di vista la figura di Emanuela. Mi vorrebbe raccontare qualcosa di sua sorella e della sua famiglia?
Eravamo una famiglia che viveva in Vaticano, e abbiamo vissuto in un mondo a parte, difficile anche da descrivere. Come in una bolla di vetro, pensavamo che il male non esistesse e quindi siamo state persone molto ingenue. Emanuela era una ragazza normalissima e i nostri punti di riferimento erano in Vaticano. Tutto era legato alla questione religiosa, alla Chiesa. Emanuela aveva 15 anni, amava la musica, studiava pianoforte, flauto traverso, canto corale. Era appassionata di Claudio Baglioni. Avevamo un bellissimo rapporto ed eravamo molto legati. Era una ragazza normale, con amici che erano figli di dipendenti vaticani e si incontravano alla parrocchia di Sant’Anna. Saremmo stati una decina di famiglie, eravamo pochissimi. Mia sorella Cristina, la più piccola, era l’ombra di Emanuela, stavano sempre insieme. Tra le varie insinuazioni, inimmaginabili, c’è chi sostiene che Emanuela avesse una vita nascosta, forse perché non l’hanno conosciuta. Qualcuno dice che negli ultimi giorni di scuola avesse fatto tantissime assenze, insinuando chissà cosa, come se qualcuno volesse puntare il dito su di lei, sulla sua vita privata. Dispiace quando si fanno delle insinuazioni su persone che non si conoscono, cercando di scavare nel carattere, nelle amicizie per cercare qualcosa di torbido, che non c’è.
Quello di Emanuela è stato un caso segnato da incongruenze, depistaggi, mistificazioni, perché rimangono così attuali e addirittura se ne aggiungono altri?
Questa è la cosa che mi ha sempre colpito. Penso che il primo depistaggio sia stato quello dell’uomo dell’Avon che l’avrebbe fermata davanti al Senato. Chi vuole rapire una persona non lascia tutti quegli indizi. Poi, nel corso degli anni, ce ne sono stati tanti, fatti magari per allontanare la verità, altri per interessi. Perché in tanti sono entrati in questa vicenda e ognuno ha cercato di portare a sé qualcosa. Situazioni che hanno creato problemi anche alle indagini. Si parlava anche del famoso telefonista, l’americano, e della figura di Accetti, che ha avuto un ruolo nella vicenda, dettato dalla sua mitomania. Depistaggi ce ne saranno ancora e parliamo anche del Vaticano, che dopo 42 anni continua a spostare l’attenzione su varie piste. Anche di recente, col promotore di giustizia Diddi, che ha detto che è stato svelato il famoso fascicolo di cui ho sempre parlato, che si trovava dal 2012 in segreteria di Stato. Io l’ho sempre detto perché sapevo che Padre Georg, l’aveva detto lui, avrebbe fatto fare una ricerca all’ex comandante della Gendarmeria Giani che ha raccolto tutto quello che ha trovato in Vaticano formando quel famoso fascicolo. Mi sono sempre chiesto perché, dal segretario di Stato dell’epoca il Cardinal Bertone, hanno sempre tutti negato l’esistenza di questo fascicolo. Ora è uscito fuori perché Giani è stato ascoltato in commissione dicendo che il fascicolo ce l’ha il promotore di giustizia. La cosa assurda è che nonostante siano passati 42 anni il fascicolo rimane riservato e non divulgabile. La cosa che mi fa paura è che Diddi non ha dato un limite temporale per la chiusura dell’inchiesta. Io non riesco più a fidarmi: chi me lo dice che in quel fascicolo ci siano tutti i documenti che c’erano all’epoca o che non siano stati aggiunti di nuovi?
Il caso di sua sorella ha assunto una valenza internazionale, è stata accostata alla criminalità organizzata, a Giovanni Paolo II. È diventata emblema di uno scandalo Vaticano. Perché proprio Emanuela?
Non c’erano tante ragazze adolescenti in Vaticano, forse due o tre. Poco tempo prima della sua scomparsa in Vaticano arrivò una sorta di informativa da parte dei Servizi francesi sul rischio di rapimento di cittadini vaticani, motivo per cui le figlie di alcuni dipendenti vennero messe sotto sorveglianza. Secondo me l’unica ipotesi si ritrova nel fatto che Emanuela era quella che usciva da sola, una persona facile da prelevare. Non credo ci sia un motivo specifico oltre a questo.
La scomparsa di Emanuela è stata accostata anche alla Banda della Magliana, per lei c’entra davvero?
Può aver avuto un ruolo solo De Pedis, ma non legato all’organizzazione. Anche se la banda della Magliana avesse organizzato il rapimento, non sarebbe durato più di un mese, il Vaticano aveva a disposizione qualunque strumenti per trovare chiunque. Io sono convinto che De Pedis abbia avuto un ruolo di manovalanza, ha fatto un favore a qualcuno di importante forse anche all’interno del Vaticano, per suoi interessi personali.
È stato trovato un fascicolo vuoto nell’Archivio Centrale dello Stato, cosa ne pensa?
Questa dichiarazione l’ha fatta il presidente della commissione De Priamo, dicendo che un consulente della commissione – presso l’archivio per altri lavori – ha cercato anche documenti legati al caso e ha trovato quattro cartelline intestate a Emanuele Orlandi, vuote. Il presidente ha fatto sapere di voler capire quale fosse il contenuto e il motivo per cui fossero vuote. Le cartelline sono state aperte nel 2017 anno in cui furono desecretati alcuni documenti, che appartenevano ai servizi, che si trovavano al Ministero dell’Interno: quindi se non sono in archivio, o sono rimaste al Ministero o qualcuno le ha fatte sparire. Con l’avvocato Sgrò abbiamo fatto una richiesta anche al sottosegretario di Stato Mantovano per sapere se c’erano ancora dei documenti su Emanuele al ministero dell’Interno, ma al momento hanno fatto sapere di no. Potrebbe essere anche nulla d’importante, però ogni volta su questa vicenda accadono delle situazioni che ti fanno venire dei dubbi. C’è la volontà di evitare che possa uscire la verità. Mi sembra chiaro. Io sono arrabbiato col Vaticano, perché in fondo fa sempre parte della mia famiglia. Dopo 42 anni, continuano a fare in modo che la verità non venga fuori, hanno respinto la rogatoria internazionale, non hanno mai voluto collaborare con i magistrati quando avrebbero potuto fare di tutto. Giovanni Paolo II quando venne a casa nostra era a conoscenza dei fatti, ha detto che ci avrebbe aiutato; invece, ha permesso al silenzio di calare su questa storia: ha messo sul piatto della bilancia da una parte la verità su Emanuela e dall’altra l’immagine dell’istituzione e ha fatto una scelta. Con Papa Francesco ho sperato in un cambiamento, invece ha alzato il muro più degli altri e non mi ha mai voluto incontrare. Loro conoscono una verità che è così pesante che non potranno mai rivelare perché ne va dell’istituzione che rappresentano.
Ad oggi che speranza ha?
Non ho speranza, ho la certezza che arriveremo alla verità. Non accetterò mai passivamente l’ingiustizia. Fino a che non troverò i resti di Emanuela per me è un dovere cercarla viva. Al momento non c’è la prova della morte e lei continua ad essere iscritta all’anagrafe vaticana come vivente.
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