GRAVI INDIZI DI REATO – Junko Furuta: la ragazza dei 44 giorni
Nel cuore del Giappone degli anni ’80, una tragedia si consuma nell’indifferenza e nella crudeltà: Junko Furuta ha diciassette anni, quando scompare il 25 novembre 1988, dopo una normale giornata di scuola. È una studentessa modello, apprezzata dai professori, amata dai compagni, lontana da ogni forma di ribellione. Ma la sua correttezza diventa, paradossalmente, la causa della sua condanna.
Quattro ragazzi, membri della yakuza (organizzazione criminale giapponese) o aspiranti tali, incrociano il suo cammino. Hiroshi Miyano è il capo del gruppo, un bullo noto per le sue violenze. Quando Junko rifiuta i suoi approcci, lui decide di “dare una lezione” a quella ragazza troppo orgogliosa per piegarsi.
Junko viene rapita e condotta in una casa di Tokyo, la residenza dei genitori di uno dei rapitori, dove rimane prigioniera per 44 giorni. Quarantaquattro giorni di torture, abusi, fame, umiliazioni e solitudine. I suoi rapitori la picchiano quotidianamente, la violentano, la bruciano, la feriscono con oggetti metallici, la costringono a bere urina, a mangiare scarafaggi, a sopportare l’indicibile. E mentre la violenza si consuma tra quelle mura, il mondo esterno tace.
I genitori del ragazzo sanno, ma non intervengono. Alcuni amici dei colpevoli partecipano alle torture, altri osservano in silenzio. La polizia riceve una segnalazione anonima, ma, quando si presenta alla porta, viene rassicurata che lì non c’è nulla di sospetto. Non approfondisce. Junko resta sola, prigioniera della follia e della crudeltà umana. Il 4 gennaio 1989, dopo l’ennesimo attacco brutale, Junko non ce la fa più. Muore a causa delle ferite e delle infezioni. I suoi carnefici inseriscono il suo corpo in un barile, lo riempiono di cemento e lo abbandonano in un terreno isolato. Pochi giorni dopo, la polizia arresta Hiroshi Miyano per un altro crimine. Durante l’interrogatorio, lui confessa. Racconta tutto, nei dettagli. I resti di Junko vengono ritrovati. L’orrore viene finalmente alla luce.
Il Giappone resta sconvolto. I media parlano del “caso Furuta” come di uno dei crimini più spietati e disumani della storia moderna. L’opinione pubblica chiede giustizia, ma la giustizia non è all’altezza del dolore. I colpevoli, essendo minorenni, ricevono pene lievi. Nessuno sconta l’ergastolo. Alcuni escono dopo pochi anni, tornando alla vita normale. Il nome di Junko Furuta diventa un simbolo. Non solo della crudeltà, ma anche del fallimento di un sistema che non protegge i più deboli. Oggi, Junko è ricordata come la “ragazza dei 44 giorni”. Una vittima innocente, il cui dolore scuote ancora le coscienze. La sua storia non è solo una cronaca nera, ma un grido di dolore, un’accusa, una richiesta di umanità in un mondo che, troppo spesso, sceglie di non vedere.
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