GRAVI INDIZI DI REATO – Alessia Pifferi, carnefice consapevole o madre in difficoltà?
Luglio 2022, l’Italia viene scossa da un caso che lascia il Paese senza parole: Alessia Pifferi, 37 anni, viene arrestata per l’abbandono e la morte della figlia Diana, di soli 18 mesi. La vicenda, che emerge con dettagli agghiaccianti, si trasforma rapidamente in uno dei casi più discussi degli ultimi anni. Tutto inizia il 20 luglio 2022, quando Alessia Pifferi torna a casa, a Milano, dopo sei giorni trascorsi fuori città. In quell’appartamento la donna trova il corpo della figlia Diana, ormai senza vita. La piccola giace nel lettino, avvolta in un caldo torrido e senza alcuna possibilità di essere accudita o salvata. La madre, con una freddezza che sconvolge gli inquirenti, racconta di essersi allontanata per trascorrere del tempo con il compagno, lasciando Diana da sola, con una bottiglietta d’acqua e un biberon. Le prime indagini rivelano una realtà disarmante. Non si tratta di un incidente, ma di un abbandono deliberato. Pifferi confessa di aver chiuso la porta di casa, consapevole che la bambina sarebbe rimasta completamente sola per giorni. Le sue dichiarazioni lasciano sgomenti: non mostra alcun segno di pentimento, giustificando le sue azioni con il desiderio di mantenere la relazione con il compagno, che ignorava l’esistenza di Diana. L’autopsia conferma i sospetti: la piccola Diana muore di stenti, disidratazione e fame, in un lento e straziante processo che si consuma nell’indifferenza totale. Gli inquirenti parlano di una madre narcisista, incapace di provare empatia e concentrata esclusivamente sui propri bisogni. Gli interrogatori dipingono un quadro inquietante: Pifferi non solo non sembra comprendere la gravità delle sue azioni, ma lascia intendere che situazioni simili si siano già verificate in passato, anche se con esiti meno drammatici. Il caso diventa presto un simbolo di denuncia sociale. Gli psicologi e gli esperti si interrogano sulle radici di un gesto così estremo. Viene sollevata la questione dell’assenza di una rete di supporto per madri in difficoltà e dell’isolamento emotivo in cui si trovano molte donne. Tuttavia, nel caso di Pifferi, la freddezza e la lucidità con cui compie il suo gesto rendono difficile individuare attenuanti. Il processo si apre con accuse gravissime: omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dall’età della vittima. Durante le udienze, emergono nuovi dettagli sulla vita di Alessia Pifferi. Una donna apparentemente normale, ma con un passato segnato da relazioni instabili, difficoltà economiche e una personalità descritta come manipolativa e egocentrica. Gli avvocati difensori cercano di portare l’attenzione su possibili fragilità psicologiche, ma la pubblica accusa insiste sulla premeditazione e sulla consapevolezza del gesto. Nel frattempo, l’opinione pubblica si divide tra chi condanna senza appello e chi si interroga su come sia possibile prevenire tragedie simili. La figura di Diana, innocente e indifesa, diventa un simbolo dell’urgenza di proteggere i più vulnerabili. I media amplificano l’eco della vicenda, trasformando il caso in un dibattito nazionale su genitorialità, responsabilità e indifferenza sociale. Alessia Pifferi oggi attende una sentenza definitiva, ma il suo caso rimane una ferita aperta per l’Italia, un doloroso promemoria di come l’egoismo e l’assenza di empatia possano portare a tragedie inaccettabili. La storia di Diana continua a commuovere e indignare, ricordando a tutti l’importanza di vigilare sui diritti e sulla sicurezza dei bambini, troppo spesso dimenticati o trascurati.
Torna alle notizie in home