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Gratteri mette in galera il capoclan della camorra che voleva fare “cose lecite”: il pizzo attraverso i vigilantes

di Angelo Vitale -


Il capoclan della camorra casertana che voleva fare “cose lecite” arrestato dal procuratore Nicola Gratteri, un ennesimo flash sulle articolate strade dell’economia illegale dei clan della criminalità organizzata.

Ieri, la notizia del blitz dei carabinieri del Comando Provinciale di Caserta, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 42 persone indiziate di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, autoriciclaggio, detenzione di armi, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.

Tra glia arrestati anche il principale elemento di spicco di un gruppo camorristico operante nella provincia di Caserta. Si chiama Aldo Picca, era tornato in libertà dopo 19 anni di detenzione, aveva avviato una serie di attività criminali indirizzate a riaffermare il “diritto” del clan di gestire le attività illecite sui territori di due Comuni dell’Aversano, una parte fondamentale della provincia di Caserta, affrancandosi anche dal predominio delle fazioni del clan dei Casalesi nella cui area di “competenza” storicamente ricadono proprio i territori di Teverola e Carinaro.

L’operazione, collegata innanzitutto al controllo delle forniture per il gioco sulle slot machine, tradizionale serbatoio a tutte le latitudini dello Stivale delle distorsioni del “gioco autorizzato” già finito nei decenni scorsi nel giro di indiscrezioni e anche inchieste non solo giornalistiche su chi, politicamente, aveva generato la chiave di volta di questo business. Con il corollario delle onoranze funebri, altro terreno storicamente “opaco” dell’economia legale in Campania, quindi di facile ingresso per i clan.

Poi, con il procedere delle notizie sull’operazione, una fotografia del deciso intervento della camorra sulla vigilanza privata”, non nuova – almeno in Campania – ad altre zone opache dell’economia, talvolta perfino accostata a rapine milionarie a portavalori o a depositi di denaro contante.

Aldo Picca, ha rivelato l’inchiesta, frte della stretta intesa con il suo alterego Nicola Di Martino e il cognato Raffaele Di Tella, aveva deciso di fare “cose lecite” nel settore degli istituti della vigilanza privata attivi nell’area di Teverola oltre nutrire il proposito di contrastare la lecita concorrenza di altri istituti sponsorizzando quello denominato “I Pretoriani”.

Da un’intercettazione ambientale nella casa del vecchio capoclan Aldo Picca – le indagini sono durate dal 2021 al 2023 – usciva fuori che, ancor prima della sua scarcerazione, il suo alterego Nicola Di Martino e Salvatore De Santis in accordo con l’amministratore dell’area degli investimenti produttivi di Teverola avevano preteso una tangente da un istituto di vigilanza attivo in quella zona fin dal 2014. Un istituto costretto a a versare tangenti a rate agli affiliati del clan dei Casalesi, in particolari quelli della fazione Schiavone.

Obiettivo estorsione, il pizzo come target, ammantandolo di legalità. Mediante l’imposizione del servizio di vigilanza privata alle attività commerciali, Aldo Picca o il cognato Di Tella programmavano una serie di incontri in cui loro stessi si presentavano ai titolari di ristoranti, pasticcerie e bar e facevano loro firmare un contratto dove il commerciante si impegnava a dotarsi del servizio di vigilanza indicato dal clan. Così o il peso economico del pizzo gravava sulla vigilanza privata che er parte contrattuale, poi tenuta a corrispondere una percentuale dei guadagni e ad assumere dipendenti originari di Carinola o Teverola. Il clan anche Ufficio di collocamento.

Un escamotage grazie al quale Picca definiva uno schema: il peso dei rateizzi estorsivi non gravava sugli esercenti ai quali l’istituto, forte di una base di clientela più ampia perché sottoposta al terrore imposto dal clan, poteva offrire condizioni più vantaggiose rispetto alla concorrenza.

La scelta di far bene le “cose lecite”. Una sorta di cambio di rotta che Picca comunicò al fratello Giuseppe e al nipote Antonio Picca: “Voglio fare cose lecite”. E il boss spiegava loro che questo suo nuovo atteggiamento stava riscontrando l’apprezzamento della gente. Infatti, mentre in passato aveva preteso il pagamento delle tangenti a puro titolo estorsivo dalle aziende, ora invece richiedeva i pagamenti a chi doveva gestire la sicurezza delle aziende, cioè agli istituti di vigilanza privata che avevano stipulato contratti con i commercianti. E Picca si accontentava di “poco”, chiedendo un pizzo del 10% dei fatturati.


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