Economia

La Grande Paura dei dazi tiene in scacco il mondo

di Giovanni Vasso -


La Grande Paura paralizza il mondo all’antivigilia del giorno in cui i dazi americani dovrebbero entrare in vigore. Le Borse finiscono kappaò, nessuno vuole più spendere in azioni e chi può corre a comprare obbligazioni. Magari di Stato, affidabili per carità. Non prima, però, di aver fatto incetta di oro che, come sempre accade in tempi di guerra (e quella commerciale lo è a tutti gli effetti), vede schizzare il suo valore oltre le stelle: ci vogliono 3.100 dollari per comprarne un’oncia. Intanto, a Francoforte, i falchi riprendono vigore. Sono pronti a sciogliere le catene che li avevano tenuti prigionieri negli ultimi tempi e a librarsi, una volta ancora, in volo. La Bce, infatti, inizia a pensare se non sia il caso di fermare, almeno per un po’, il processo di taglio dei tassi. Giusto per far fronte all’inflazione che in Europa, a cominciare dall’Italia dove a marzo è salita dello 0,4% portandosi al 2% sull’anno, torna a rodere il portafogli delle famiglie.

Donald Trump non ha la minima intenzione, almeno in teoria, di recedere dall’obiettivo di apporre dazi. E, anzi, sembra aver trovato una formula capace di impensierire tutti, ma proprio tutti, nel mondo. Tariffe universali, nell’ordine del 20%, da applicare più o meno a tutti i Paesi. Chi sgarra, poi, rischia di pagare più degli altri. Tipo Putin e la Russia se non accetteranno le sue condizioni sull’Ucraina che potrebbero vedersi applicare dazi al 25% sul petrolio. L’America ha deciso che la globalizzazione, così com’era, non funziona più. E pertanto ha scelto di tirare i remi in barca. Trump, che per primo ha avviato all’epoca del suo primo mandato l’applicazione delle tariffe, non sta facendo altro che continuare il lavoro portato avanti da Joe Biden. Che non ha tolto tutte le tariffe dell’attuale presidente americano e che, anzi, ha ricoperto d’oro le imprese americane a patto che tornassero a investire nella madrepatria. Un trend che Trump ha proseguito accogliendo negli States il gigante taiwanese dei chip Tmsc e i coreani di Hyundai. Il guaio, però, è che a ogni azione corrisponde una reazione. Nella giornata di ieri, in tutto il mondo, le Borse sono andate a picco. Milano ha sfiorato il -2%, Tokyo ha perso addirittura 4 punti percentuali, Londra ha contenuto le perdite, a metà giornata, all’1,25% mentre Francoforte e Parigi hanno rischiato di rompersi l’osso del collo: -1,90% e -1,81%. L’oro continua la sua corsa a perdifiato oltre ogni record e trascina con sé tutti gli altri metalli, preziosi o utili che siano: l’argento ambisce a rivalutarsi dopo aver raccolto valori record nel 2024 puntando oltre i 40 dollari l’oncia mentre il rame è salito quasi del 14% dall’inizio dell’anno. Contro la grande paura dei dazi si cercano riferimenti sicuri. E tornano di moda i bond, le obbligazioni, i titoli di Stato. Trend che, plasticamente, s’è verificato in Giappone dove il terrore delle tariffe ha spinto gli investitori a tentare di acquistare titoli sicuramente meno rischiosi delle azioni in un Paese che si regge (anche) sui suoi giganti dell’automotive.

La grande paura dei dazi rischia di paralizzare anche il processo di disinfiammazione del costo del denaro, almeno in Europa. Negli States, secondo Goldman Sachs, la Fed dovrebbe tagliare i tassi per tre volte quest’anno. Se non altro per venire incontro alle (pressanti) richieste di Donald Trump. Ciò dovrebbe accadere anche nel Vecchio continente. E comporterebbe il rallentamento del processo innescato nei mesi scorsi da Lagarde e soci. E se a dirlo è una colomba come il presidente di Bankitalia Fabio Panetta, per di più nel corso dell’assemblea ordinaria dei soci, c’è da credergli: “Le decisioni di politica monetaria dovranno bilanciare due fattori. Da un lato, la debolezza dell’economia europea e le tensioni geopolitiche stanno frenando consumi e investimenti, contribuendo a contenere l’inflazione. Dall’altro lato, l’aumento dell’incertezza, dovuto soprattutto agli annunci, talora contraddittori, sulle politiche commerciali degli Stati Uniti impone cautela nel percorso di diminuzione dei tassi ufficiali”. L’inflazione, già a marzo, è salita. L’Istat riferisce che a trascinarla verso l’alto sono stati i beni energetici non regolamentati, ossia gli aumenti alla pompa di benzina e dei carburanti. Il guaio, però, è che gli aumenti si sono riverberati subito sul carrello della spesa il cui prezzo è salito del 2,1%. Per i consumatori del Codacons si tratta di una stangata da 650 euro l’anno, circa. Che diventa ancora più pesante, stimabile in 900 euro di maggiori spese, per una famiglia con almeno due figli mentre le imprese italiane continuano a chiedere negoziati, colloqui, accordi mentre snocciolano numeri da tregenda. Insomma, ieri era solo l’antivigilia e già pareva l’Apocalisse. La Grande paura dei dazi è arrivata.


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