Gli abitanti di Casal Selce contro il biodigestore
protesta a Casal Selce
Un biodigestore, un impianto per trattare 120 mila tonnellate di rifiuti umidi l’anno da convertire in biometano liquido, con un impatto ambientale decisamente sostenibile. Detta così, una grande idea, tanto più se si considera che un impianto del genere sarebbe in grado di gestire da solo all’incirca un terzo dei rifiuti organici della Capitale. Una svolta. Ma come spesso accade non tutto quel che luccica è oro e, anche laddove sembra di trovarsi dinanzi a iniziative potenzialmente pregevoli, capita di scontrarsi con una realtà differente. Circostanza tanto più grave se si considera che parliamo non di privati, ma di amministrazioni pubbliche che forzano norme e provano a svincolarsi dalle maglie burocratiche per tirare dritto su strade che sono invece impercorribili. E’ il caso del progetto del biodigestore che il comune di Roma vorrebbe realizzare nella zona di Casal Selce, su un’area agricola coltivata a grano duro grazie a un contratto di filiera in essere. Non solo, perché la realizzazione dell’impianto necessita di infrastrutture per oltre 64 mila metri quadrati, un mostro di cemento nel bel mezzo della campagna romana. E veniamo dunque alle criticità normative che incombono sul sito. Innanzitutto, la Regione Lazio, all’epoca della Giunta Zingaretti, nel dare il proprio nulla osta all’utilizzo dell’area, è riuscita a contraddire sé stessa: il territorio in questione, infatti, è classificato dalla normativa regionale come ‘agro romano tutelato’, nonché come ‘Paesaggio Agrario di Rilevante Valore’ e quindi sottoposto a stringenti vincoli paesaggistici. Ciò comporta, sempre in base alla normativa vigente, che sull’area insiste un esplicito divieto di realizzare impianti per il trattamento dei rifiuti. Un divieto imposto anche dal Regolamento europeo della Tassonomia che impedisce la costruzione di opere atte alla gestione dei rifiuti, anche non pericolosi, su terreni destinati alla produzione di alimenti. Una questione che non è sfuggita all’Ama, tanto che le particelle interessate dal progetto sono state identificate come “terreno seminativo”, ma evidentemente anche questo piccolo particolare è stato ritenuto sorvolabile, in barba alle produzioni a km zero e alle eccellenze agricole del Made in Italy. Quindi, in palese violazione delle norme comunitarie, si vorrebbe realizzare quello che è classificabile a tutti gli effetti come un impianto industriale su un terreno agrario di pregio. E ancora non è tutto, perché sull’appezzamento in questione insistono rinvenimenti archeologi di pregio che, sempre a ben guardare le leggi regionali, potrebbero far sorgere un parco culturale che, oltretutto, a differenza del biodigestore, potrebbe tranquillamente coesistere con le colture attualmente impiantate su quel terreno, senza violare accordi commerciali già in essere per la coltivazione del grano. Parliamo di un asse viario, una villa e due necropoli databili tra il periodo etrusco e l’età romana. Inoltre, nell’area a ovest, si trova l’importante insediamento dell’antica Lorium con le sue splendide ville risalenti al periodo antoniniano e il mausoleo sottostante la Chiesa di Santo Spirito. Al confine nord, invece, è presente il sito paleontologico più importante d’Europa, la Polledrara di Cecanibbio, già oggi reso museo dalla sovrintendenza speciale, mentre a un solo kilometro di distanza si trovano la Zona Protezione Speciale (ZPS) Oasi Lipu protezione uccelli, che fa parte di una più ampia Zona Speciale di Conservazione (ZSC) denominata Macchia Grande di Ponte Galeria, e la Riserva del Litorale Romano. Al sindaco Gualtieri, che è anche commissario straordinario dell’opera, però tutto questo sembra non importare ed ha confermato la localizzazione del biodigestore a Casal Selce, per altro per il trattamento di circa la metà delle tonnellate annue previste dal progetto iniziale.
Ovviamente, i residenti della zona si sono composti in comitati e chiedono non solo di rivedere il progetto e di individuare un’area che sia regolarmente a norma per la sua messa a terra, ma anche un confronto con le istituzioni comunali che però appaiono sorde a questa richiesta. Anche perché, il Consiglio del Municipio XIII, territorialmente competente, contrariamente a quanto fatto dal Comune, si è espresso con una votazione ufficiale contro la realizzazione dell’impianto. Lo scorso mese di febbraio, Sabrina Alfonsi, l’assessore capitolino all’agricoltura, ambiente e ciclo dei rifiuti, si è recata sul posto per un confronto con i cittadini, ma dinanzi ai 300 rappresentanti dei residenti di Casal Selce, Casalotti, Massimina e Castel di Guido “non è riuscita a dare nessuna risposta”, ha denunciato il presidente del Comitato Difendiamo Casal Selce, Domenico Razza.
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