Politica

Giudici e informazione, ecco chi può dare le carte

di Francesco Da Riva Grechi -


Si urla di nuovo alla velina. Nella politica non è una novità, ma che dire se venissero coinvolte le cronache giudiziarie? Eppure le informazioni di questo tipo dovrebbero essere coperte da segreto; come immaginare una strategia di divulgazione da parte dei professionisti della comunicazione di Palazzo Chigi o di altri centri di legittimo potere? In questa rubrica infinite volte si è cercato di smascherare i rischi del processo mediatico, ma questa sarebbe un’altra degenerazione, più grave.

In entrambi i casi il bene fondamentale garantito della Costituzione è la presunzione di innocenza, garanzia essenziale di ogni ordinamento in cui la dignità umana sia al centro delle garanzie del processo penale, accanto e prima ancora del giusto processo. Certo, esistono i reati di calunnia e diffamazione, ma si possono ritenere adeguati a fronteggiare ipotesi del genere, di utilizzo di notizie relative ad iniziative giudiziarie, vere o presunte, per attaccare avversari politici o semplicemente titolari di interessi contrari?
Con un tecnicismo verrebbe da dire che i cittadini non sono oggetto di interesse “sostanziale” da parte dell’ordinamento: i citati reati non sono infatti posti a presidio e tutela delle persone o per difendere soggetti deboli da attacchi del “potere”. Sono reati contro l’amministrazione della giustizia. Con un esempio sarebbe come se in materia di violenza contro le donne si tornasse ai reati contro la morale anziché contro le persone delle stesso donne.

Nè la disciplina processuale aiuta di più. La norma sul cd. “segreto interno” dell’indagine è finalizzata esclusivamente al “buon esito” di essa: non la dignità dell’imputato o la riservatezza dei terzi, ma la funzionalità dell’indagine segreta. Secondo l’art. 329, comma 1, del codice di procedura penale, gli atti investigativi della polizia e del pubblico ministero non sono accessibili ad altre persone, finché l’imputato e/o il suo difensore non li possano conoscere (cosa che può naturalmente accadere anche prima della chiusura dell’indagine, per gli atti cosiddetti garantiti, che ammettono la presenza difensiva e il deposito del relativo verbale).

Tale segreto viene qualificato come “interno”, in quanto intrinseco all’indagine ed opponibile, di regola, a tutti, salvo precise ragioni derivanti dall’esigenza di coordinamento investigativo fra uffici del pubblico ministero. Altre eccezioni sono ammesse e sempre in ragione della funzionalità dell’indagine, bene giuridico protetto da tale segreto. Altra assurdità consiste nella circostanza che, ai sensi dell’art. 114 dello stesso codice di procedura, l’atto di indagine, nella sua materialità di verbale, non è pubblicabile mentre è invece pubblicabile il suo contenuto (intercettazioni comprese).

Si tratta di norme rivolte ai titolari degli uffici giudiziari e poste a tutela del loro lavoro. I cittadini avrebbero un solo rimedio: la liberalizzazione della divulgazione delle notizie. Liberalizzando, la responsabilità della scelta di cosa pubblicare e di cosa non pubblicare passa interamente nelle mani del giornalista. Il che ovviamente, in astratto, è cosa buona e giusta. Realisticamente, tuttavia, non va dimenticato che il processo penale è un enorme contenitore: un pozzo quasi inesauribile da cui si può attingere di tutto; si offre, insomma, una potenzialità incredibile.


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