Giovanna, l’odio social e il saluto con la beneficenza
Il giorno del dolore, il momento del silenzio, il tempo del rispetto per una donna che ha passato la vita cercando di difendere i deboli e che, in virtù di quella solidarietà offuscata dal sospetto, non ha retto alla cattiveria di questo mondo. Ieri la cittadina di Sant’Angelo Lodigiano ha reso l’ultimo omaggio a Giovanna Pedretti, la ristoratrice 59enne suicida a seguito della gogna mediatica partita sui social dalla polemica su una finta recensione, scatenata dalla coppia Selvaggia Lucarelli-Lorenzo Biagiarelli.
Giovanna, spalle al muro, non ha sopportato l’onta di quel fango sulla sua battaglia in difesa dei più sfortunati e si è suicidata, gettandosi nel Lambro. “C’è il giudizio sommario, senza appello, senza misericordia, di chi parla senza sapere, senza conoscere”, ha detto durante l’omelia il parroco Don Enzo Raimondi, che ha celebrato le esequie. “Il rincorrersi, senza alcun filtro, dei sospetti, pesanti come macigni”, ha aggiunto il sacerdote, “costruiti per soddisfare i pruriti di gente ormai frustrata al punto da bramare la narrazione delle disgrazie altrui.
Dove il teorema da dimostrare, il dubbio da alimentare è che anche dove c’è del bene si nasconde, alla fine, un interesse, un tornaconto. Facendo così diventare le ombre, tenebra”. Parole, anche queste, che pesano come macigni per chi, seppur indirettamente e forse senza nemmeno valutare il peso di un’inchiesta da poco, ha sparato con un cannone non contro un’esperta Chiara Ferragni ma direttamente al cuore della povera Giovanna, rea presunta di una falsa recensione al suo locale “Le Vignole” che, anche qualora fosse stata inventata, restava comunque un innocuo tentativo di mantenere alta l’attenzione sui diritti dei gay e sulle condizioni dei disabili.
Chi conosce Giovanna non fa altro che ripetere che lei, quella recensione, non l’avrebbe certamente cavalcata per farsi pubblicità, ma per rafforzare le sue iniziative nel ristorante che offriva la pizza sospesa ai ragazzi sulla sedia a rotelle. Ragazzi ai quali regalare anche solo un sorriso. E invece, quello che hanno regalato a Giovanna, è stato soltanto biasimo, che si è tramutato in una condanna a morte quando le accuse di un certo giornalismo e l’odio dei social hanno suscitato nella vittima della shirtstorm l’idea che non conta quanto bene si faccia per una vita, ma che basta un errore di un momento per cancellare tutto il buono.
Che al cor gentil non rempaira sempre amore, se quel con gentil si può calpestare in nome di un’aulica ricerca di verità che nemmeno fosse il Sacro Graal. A quel cor gentil di Giovanna quello che hanno restituito è stato odio. Lo ha detto chiaramente anche Don Enzo Raimondo, di fronte a quella bara ricoperta di fiori: “Da una parte c’è una comunità provata, come la nostra, desiderosa solo di essere vicina alla famiglia e di regalare l’ultimo saluto a Giovanna, per restituirle quello che le è stato tolto. Dall’altra il chiedersi come fare per evitare tragedie simili.
Come impedire ai leoni da tastiera di riversare impunemente il loro odio, dimenticando il potere distruttivo che possono avere anche semplici parole, che è il significato della massima Ne uccide più la lingua che la spada”. Quelle lingue dei moralizzatori che non sono state in grado di pronunciare neanche una parola di cordoglio per la signora, ma che continuano a difendere se stesse dal sospetto di una eventuale responsabilità nell’istigazione al suicidio di Giovanna. E che lo fanno tentando di gettare fango su chiunque si permetta di criticare quel modus operandi che, ormai da troppo tempo, va in scena contro poveracci, contro gente comune divorata da squali, sotto attacco per raccolte fondi di terzi.
Lingue e penne che sarebbero pronte perfino a indagare in maniera certosina sulla genuinità dell’appello della famiglia Pedretti, che ha chiesto a tutti coloro i quali vogliono rendere l’ultimo saluto a Giovanna di “non inviare fiori, ma devolvere l’equivalente in offerte alla Casa di Riposo di Sant’Angelo Lodigiano o all’Associazione Genitori e Amici dei disabili e Gruppo il Maggiolino”, ovvero tutte quelle realtà che la povera ristoratrice aveva aiutato nel corso degli anni. Tumulata la bara, si attendono ora gli accertamenti della Lucarelli sul corretto andamento della beneficenza.
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