Attualità

Giovani e violenza: i valori nell’epoca dei social

di Redazione -


di Linda De Angelis – Psicologa clinica

Giovani e violenza, negli ultimi tempi abbiamo appreso dai media dei drammatici fatti di cronaca relativi a violenze di gruppo, compiute da minorenni e poco più che maggiorenni, senza mai manifestare alcun senso di rimorso o di colpa nei confronti delle vittime, anche successivamente all’evento criminale, così come hanno testimoniato i contenuti delle intercettazioni telefoniche che sono stati divulgati.

Tali contenuti hanno destato sconcerto e clamore, anche perché hanno dimostrato non solo la totale assenza di empatia e di identificazione con il vissuto emotivo e il dolore fisico della vittima, connesso con l’abuso e le ripetute percosse che le sono state oltretutto inferte, ma, aspetto che ancor di più inquieta, è che proprio la percezione di tale sofferenza e dolore sia stata, anche nei giorni successivi, il fattore capace di generare piacere, risa e divertimento negli scambi tra gli aguzzini, nella più totale assenza di senso di colpa e di consapevolezza circa la condotta criminale agita, oltre che della comprensione delle conseguenze sociali e penali che già li stavano travolgendo.

Tali accadimenti descrivono drammaticamente il significato di quel costrutto noto in psicologia come “disumanizzazione” (o deumanizzazione) della vittima, con ciò riferendosi per l’appunto alla riduzione dell’altro a mero oggetto, a “nonessere umano”, e perciò a sentirsi erroneamente liberi e legittimati di scaricare su quest’ultimo impulsi aggressivi, distruttivi e/o sessuali, senza alcuna capacità empatica di mettersi nei suoi panni e senza alcun rispetto della sua dignità, volontà ed esistenza, oltre naturalmente senza alcun rispetto della legge e della morale.

Prendendo avvio da questo concetto, la riflessione che ne deriva è che anche quando non sono di fatto agite vere e proprie condotte delittuose, la mancata percezione “empatica” dell’altro e la sua riduzione ad “oggetto”, si stanno sempre di più diffondendo attraverso la cultura della violenza, che pervade la vita e la quotidianità soprattutto dei più giovani, condizionandone i valori e i comportamenti, attraverso quell’azione socializzante, che devia dalla norma e dalle condotte ritenute socialmente accettabili, operata dal web e soprattutto dai social.

Della terribile vicenda di Palermo, in particolare, l’aspetto che contribuisce a denunciare tale fenomeno di diffusione tra i giovani della cultura della violenza, completamente priva di alcuna forma di empatia e al tempo stesso impregnata di aspetti gravemente disfunzionali, è quello a mio avviso legato alla condotta dell’unico minorenne che, appena uscito dal carcere e contrariamente a qualsiasi disposizione in merito al divieto di utilizzo di smartphone e social, si sia autocelebrato circa le proprie “gesta”, pubblicando contenuti che gli sono valsi migliaia di like, ma anche numerosi messaggi da parte di ragazze affascinate da questo coetaneo reo di stupro.

Com’è spiegabile, ci si domanda, che ragazze adolescenti siano state motivate nel voler manifestare il desiderio di intraprendere una relazione con un ragazzo, coinvolto in una violenza sessuale, in cui la vittima è stata peraltro presa a botte, calci, pugni e che ha subito sbeffeggiamenti e umiliazioni? A che prezzo stiamo pagando, come società, la diffusione del narcisismo veicolato dai social che pur di rispondere al bisogno (indotto!) di notorietà, arriva a far ambire di comparire, tanto più da ragazza o donna, accanto ad autori di condotte gravemente devianti come lo stupro di gruppo? Come è contrastabile, soprattutto da genitori che si assumono la responsabilità di essere un riferimento affettivo e valoriale per i figli, l’attrattività sempre più pervasiva esercitata da simili modelli criminali? E come si possono invece contrastare, contenere e ri-orientare quelli invece che, ben lungi dall’assunzione di una simile responsabilità, attribuiscono la colpa alla vittima, pur di discolpare in tutto o in parte i propri figli onnipotenti, a cui tutto è permesso e giustificato, anche quando si tratta di segnare per sempre la vita di una ragazza e della sua famiglia?

Occorre indubbiamente un ripensamento generale su quanto sia cruciale il ruolo genitoriale, oltre a quello rappresentato dalle diverse figure che a vario titolo, come gli insegnanti ad ogni livello scolastico, concorrono nell’acquisizione di valori socialmente accettabili e di competenze come empatia, autostima, assertività e consapevolezza, che si pongono alla base di quella “bussola interiore”, cui fare riferimento per orientarsi, in un momento storico così sfidante, caotico e confuso. L’acquisizione di simili valori e competenze è tanto necessario ai giovani per non perdersi, quanto ancor di più agli adulti per poterglieli insegnare, a partire dall’esempio che gli forniscono con i loro comportamenti.


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