Politica

PRIMA PAGINA-Giorgia alza la voce dell’Italia in Europa

di Giuseppe Ariola -

Giorgia Meloni nell'Aula del Senato


No a un pacchetto di nomi per l’Europa deciso a tavolino dalla ‘logica dei caminetti’ piuttosto che da quella del consenso. È questo il j’accuse che Giorgia Meloni lancia senza mezzi termini intervenendo nell’Aula di Montecitorio per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo che si terrà oggi e domani a Bruxelles con al centro le nomine per i vertici europei. Dopo l’intesa raggiunta martedì dai negoziatori di Ppe, S&D e Renew, che hanno formalizzato la decisione di candidare Ursula von der Leyen per un bis alla presidenza della Commissione europea, il socialista portoghese Antonio Costa alla guida del Consiglio Ue e la premier estone Kaja Kallas, espressione dei liberali, come Alto rappresentante per la politica estera, è stata ufficializzata l’intenzione di procedere con la stessa maggioranza (precaria) della scorsa legislatura, pur nel mutato quadro politico, sia al Parlamento europeo che nei singoli paesi comunitari. Circostanza che porta la premier italiana a sostenere che nella definizione dei top jobs non “sia emersa finora la volontà di tenere conto di ciò che i cittadini hanno detto nelle urne” e a denunciare “una sorta di ‘conventio ad escludendum’ in salsa europea che a nome del governo italiano ho contestato e non ho alcuna intenzione di condividere”. Una circostanza evidentemente così palpabile che, nel corso del consueto pranzo al Quirinale che precede i consigli europei, il Presidente della Repubblica avrebbe sostenuto che “non si può prescindere dall’Italia” nel definire le linee politiche e le cariche istituzionali dell’Unione europea. Eppure, il trattamento riservato al nostro Paese è di totale chiusura a tutto favore dell’asse tedesco, guidato da Weber, Scholz e von der Leyen, che continua a strizzare l’occhio a Macron, esponente di quei liberali che non rappresentano più neanche terza forza politica all’europarlamento, dove sono stati scalzati dai Conservatori. Non è quindi un caso che proprio Renew abbia posto un veto sull’allargamento della maggioranza all’Ecr. Ma se è vero che le trattative sui top jobs si svolgono su un doppio binario, uno istituzionale che richiede l’approvazione a maggioranza qualificata da parte dei capi di Stato e di governo in sede di Consiglio europeo, e uno politico che passa per il voto del Parlamento Ue a scrutinio segreto, è altrettanto vero che, allo stato attuale, ottenere la maggioranza sui nomi individuati non è poi così scontato. Basta guardare alle divisioni interne al Ppe tra chi abbraccia la linea di Renew e chi, come Antonio Tajani che è vicepresidente del partito, insiste per un allargamento della maggioranza a Ecr. Il vicepremier italiano si spinge addirittura oltre: “L’Italia – ammonisce – non può essere mortificata, siamo tra i paesi fondatori dell’Europa, non le si può togliere ciò che le spetta e all’Italia spetta una vicepresidenza che sia anche un commissario con un portafoglio importante. Toccherà alla premier trattare ma questo ci spetta”. Non solo, perché nonostante abbia sostenuto fin dal primo momento la linea a favore della von der Leyen, nell’eventualità che la maggioranza possa allargarsi ai Verdi per garantirle i numeri necessari a un bis, Tajani aggiunge che “sarebbe molto difficile per noi votare. Vediamo che succede, per ora l’accordo non c’è, io lo dirò al Ppe. Potremmo anche votare contro o non votare o astenerci”. Proprio su quanto potrà ottenere l’Italia e sull’eventualità che l’importanza che le verrà riservata dipenda dall’appoggio alla corsa della von der Leyen, il cui atteggiamento non è certamente di apertura, Giorgia Meloni, questa volta dall’emiciclo di Palazzo Madama, chiarisce che “se quello che spetta all’Italia dipende dal fatto che dica sì o no a quello che alcuni hanno deciso, questa non è la mia idea d’Europa e di quale debba essere il ruolo dell’Italia”. Poi assicura che “l’Italia porterà a casa il risultato”.


Torna alle notizie in home