Attualità

Giallo Attanasio

di Rita Cavallaro -


C’è un nodo nel governo, che dovrebbe essere sciolto nelle prossime ore, e che farà la differenza nel percorso verso la giustizia e la verità per Luca Attanasio.
Tra nove giorni, infatti, al Tribunale di Roma si aprirà il filone italiano sull’omicidio dell’ambasciatore italiano, ammazzato in un’imboscata in Congo il 22 febbraio 2021, nel corso della quale morirono anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo.
E se il capitolo a Kinshasa si è già chiuso con i sei ergastoli per gli assassini, lasciando comunque aperti seri dubbi nelle famiglie delle vittime sulla ricostruzione dell’assalto finito nel sangue, resta ancora appesa al filo la speranza che i giudici italiani possano accertare la verità sugli omicidi, in un quadro più ampio che pone l’accento non solo su chi ha sparato, ma anche su chi ha contribuito, con omissioni e falsificazioni, a lasciare al proprio destino Attanasio e Iacovacci, mandati senza protezione in un’area del Congo altamente pericolosa a causa delle razzie di bande di criminali.
Il prossimo 25 maggio, dunque, prenderà il via, davanti al gup di Roma, il processo che vede imputati, con l’accusa di omicidio colposo, Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, i due organizzatori della missione che avrebbe dovuto portare Attanasio da Goma a Rusthuru per un’ispezione al progetto del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam), finanziato dall’Italia, e durante la quale sia l’ambasciatore che il carabiniere della scorta furono uccisi. In quella prima udienza è prevista la costituzione delle parti civili al dibattimento. Tra queste, oltre ai familiari delle vittime, è stata individuata quale parte offesa anche la Presidenza del Consiglio, come riportato nel decreto di fissazione.
Dunque il governo, avendo perso nell’assalto mortale due servitori dello Stato, potrà costituirsi contro i due imputati. E non tanto per un risarcimento economico del danno, già fissato in due milioni di dollari in via equitativa nel processo conclusosi in Congo, dove l’Italia si era costituita parte civile contro i sei assassini di Attanasio e Iacovacci.
L’istanza nel filone romano ha più un valore simbolico, principalmente nei confronti delle famiglie delle due vittime italiane, uccise nel compimento del servizio. Al momento, però, la risposta dell’Italia resta titubante, perché a nove giorni dalla scadenza dei termini di costituzione delle parti civili, Palazzo Chigi non ha sciolto il nodo, a causa dei silenzi della Farnesina, incerta sul da farsi.
Posizione chiara, invece, quella del ministero della Difesa, con Guido Crosetto fermamente convinto a costituirsi al processo di Roma. Di questa scelta nel nome della verità non ne ha fatto mistero, neppure con Salvatore Attanasio, il padre dell’ambasciatore ucciso, che il ministro ha incontrato domenica scorsa alla festa degli Alpini, a Udine.
In quell’occasione, il titolare della Difesa ha ribadito la sua posizione alla famiglia del diplomatico, rimasta scettica sulla verità processuale emersa nel filone congolese e fiduciosa che le responsabilità e i presunti mandanti possano emergere nel dibattimento davanti al giudice dell’udienza preliminare di Roma.
In ogni modo il codice di procedura penale consente che possa costituirsi parte civile anche il singolo ministero e non solo la Presidenza del Consiglio. Pur tuttavia una scelta simile rappresenterebbe non solo una sgrammaticatura istituzionale, ma anche un messaggio fuorviante alle famiglie delle vittime, perché farebbe emergere l’idea che l’Italia sia poco disposta a impegnarsi ufficialmente nel percorso di giustizia per Attanasio e Iacovacci.
Questo, il governo lo sa. Motivo per il quale nelle prossime ore Palazzo Chigi scioglierà la riserva e dovrebbe annunciare la decisione della costituzione come parte civile, perché la Nazione non abbandona al destino la verità sull’omicidio dell’ambasciatore e del carabiniere.
Gli esecutori materiali dei loro delitti sono già stati trovati e condannati all’ergastolo, lo scorso aprile, dal tribunale militare di La Gombe, che ha inflitto il carcere a vita a Murwanashaka Mushahara André, Issa Seba Nyani, Bahati Antoine Kiboko, Amidu Sembinja Babu (alias Ombeni Samuel) e Marco Shimiyimana Prince, i sei componenti del commando criminale dedito alle rapine di strada che, il 22 febbraio 2021, decise di rapire l’ambasciatore a scopo di riscatto, in un assalto che finì con tre omicidi. Il filone italiano, invece, punta a inchiodare alle proprie responsabilità i due funzionari che, con la loro condotta illegale, avrebbero creato le condizioni che, infine, hanno portato il commando a causare la morte dei servitori dello Stato.
Per la Procura di Roma Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, che si appellano all’immunità diplomatica, sarebbero colpevoli di omicidio colposo, per aver omesso e falsificato le procedure necessarie a proteggere l’ambasciatore italiano nell’area del Congo notoriamente nel mirino di pericolose bande di miliziani. Secondo il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Sergio Colaiocco i due dipendenti del World Food Program avrebbero “attestato il falso” e “omesso per negligenza ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti e di informare cinque giorni prima del viaggio la missione di pace Monusco, preposta alla sicurezza e alla predisposizione di scorta armata e veicoli corazzati”, si legge nelle carte dell’inchiesta.

Non solo i due dipendenti Onu avrebbero presentato la richiesta di autorizzazione solo 12 ore prima della partenza, anziché 72 come prevede il protocollo, ma, per ottenere rapidamente il permesso, avrebbero falsamente indicato i nomi di due dipendenti del personale Pam al posto di quelli di Attanasio e Iacovacci. E, condotta più grave, non avrebbero informato cinque giorni prima la forza di pace Monusco, che si occupa di predisporre una scorta armata e veicoli blindati nelle zone a rischio, lasciando così Attanasio e Iacovacci in un convoglio senza protezioni, nel mirino del loro assassini, nell’inferno del Congo.

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