Editoriale

GHIGLIOTTINA – Lo stato si fa prendere in giro anche dal capo di cosa nostra

di Frida Gobbi -


Ci sarebbe da piangere ma fa sorridere come Matteo Messina Denaro si prende beffa dello Stato, confermando con le sue stesse parole l’immagine – pompata purtroppo anche dai media – di capo dei capi della mafia simpatico e à la page. “Mi chiamo Matteo Messina Denaro, lavoravo in campagna ed ero un agricoltore. La residenza non ce l’ho più perché il Comune mi ha cancellato. Ormai sono un apolide. Le mie condizioni economiche? Non mi manca nulla. Avevo beni patrimoniali ma me li avete tolti tutti. Se ancora ho qualcosa non lo dico, mica sono stupido”. Sono stralci di un interrogatorio di febbraio in cui il boss risponde per… estorsione aggravata (sembra la storia di Al Capone, arrestato per evasione fiscale). “Ha dei soprannomi?”. gli chiede il magistrato. “Mai, me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi”. Altra bugia: nella criminalità organizzata tutti hanno un soprannome. “Ultima residenza?”. “A Campobello risiedevo da latitante quindi di nascosto, in segreto. L’ultima residenza che ho avuto da uomo libero è a Campobello”: altro sberleffo. Battuta finale: nega pure di appartenere a Cosa nostra.

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