Cultura & Spettacolo

Garibaldi a Digione, l’ultima e vittoriosa battaglia del generale

di Redazione -


di PASQUALE HAMEL
In un Paese senza memoria e senza orgoglio, come il nostro, ricordare un personaggio scomodo quale fu, e continua ad essere, Giuseppe Garibaldi, è impresa veramente ardua alla quale, tuttavia, per onestà intellettuale e per rispetto alla verità storica, non voglio sottrarmi.
Lo faccio ritornando su una vicenda, volutamente trascurata e, financo, dimenticata il cui racconto, visto che si è svolta in Francia, legittimamente può essere ospitata in questa pagina che tratta del contributo offerto dagli italiani alla crescita civile e sociale dei Paesi stranieri. Siamo nel 1870, la Francia di Napoleone III, personaggio che Victor Hugo smitizzò affibbiandogli il nomignolo di Napoleon le Petit, dopo il tentativo, fallito, di annettersi il Lussemburgo, si confronta militarmente con gli stati tedeschi a guida prussiana.
Una guerra che l’imperatore dei francesi considera necessaria per riaffermare la supremazia del suo impero sull’Europa continentale. Il conflitto che ne deriva si trasforma ben presto in un disastro, le truppe tedesche, meglio organizzate e preparate, travolgono a Sedan i reparti dell’Armée e costringono l’imperatore ad abdicare.
Il 4 settembre viene infatti proclamata la Repubblica che non accetta la sconfitta rifiutando di arrendersi al nemico tedesco. La resistenza francese mostra i suoi limiti, l’esercito repubblicano inanella una sconfitta dietro l’altra.
È proprio a questo punto che, il 7 ottobre 1870, entra in scena il sessantaquattrenne generale Giuseppe Garibaldi con un pugno di volontari che, nel corso delle settimane crescono di numero galvanizzati dal carisma dell’eccezionale condottiero. Garibaldi, al cui seguito si erano uniti i figli Ricciotti e Menotti ed il genero Stefano Canzio, non tradisce la sua fama di condottiero.
Operando nella zona di Digione mette in forte difficoltà le truppe prussiane e tra il 21 e 23 gennaio, la cosiddetta terza battaglia di Digione, nonostante la superiorità numerica del nemico, riesce a cogliere una vittoria assolutamente imprevedibile.
“I prussiani- scrive con grande soddisfazione Antonio Fratti, un patriota che l’aveva seguito in quest’avventura – dopo sforzi inauditi, hanno dovuto cedere”. Nelle sue mani vittoriose, quella fu l’ultima battaglia della sua vita, restarono le insegne del 61° reggimento di Pomerania.
Si trattò dell’unica vittoria che l’esercito francese poté vantare nei confronti dei tedeschi. Il popolo francese fu particolarmente grato al nostro eroe e per queste sue prodezze lo elesse, in ben tre dipartimenti, all’Assemblea nazionale. L’8 febbraio successivo l’Assemblea Nazionale si riuniva a Bordeaux anche per ratificare l’armistizio e non ratificava la elezione di Garibaldi. Quell’elezione aveva infatti provocato molti risentimenti nei settori più conservatori e tradizionalisti del mondo politico francese.
Non meraviglia che, qualcuno dei deputati, in nome di un orgoglio nazionale già abbondantemente calpestato dal modo in cui era stata condotta la guerra, avesse avuto perfino l’ardire di ingiuriare l’eroe definendolo “filibustiere”. In quell’Aula, accesa da rancori risuonò perfino il grido “non abbiamo bisogno degli italiani”. La esclusione di Garibaldi provocò la reazione indignata della sinistra francese e, in particolare, del socialista Louis Blanc e del grande scrittore Victor Hugo il quale, dimettendosi per protesta da membro dell’Assemblea nazionale alla quale era stato eletto, stigmatizzò l’assoluta mancanza di riconoscenza di quel consesso nei confronti dell’eroe, affermando che “Di tutte le potenze europee nessuno si alzò per difendere la Francia che tante volte aveva preso la causa d’Europa…non un re, non uno stato, nessuno! Tranne un uomo…l’unico che ha combattuto per la Francia, l’unico che non è stato sconfitto”.
Il 16 febbraio 1871 Garibaldi, che aveva appena lasciato la Francia, raggiungeva l’amata Caprera dove non tenendo conto delle offese ricevute, senza astio alcuno, lanciava un proclama per testimoniare l’eroismo dei combattenti di quella Francia che aveva difese generosamente, senza aspettarsi alcun compenso.


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