Attualità

Friuli: 11 settembre 1976 la terra trema ancora

di Gianluca Pascutti -


Dopo il devastante terremoto del 6 maggio 1976, la terra in Friuli tremò ancora quattro mesi dopo, l’11 e il 15 settembre. L’11 settembre, due scosse molto ravvicinate, alle 18:31 e 18:35, rispettivamente di 5.3 e 5.6 gradi della scala Richter, tornano a far rivivere l’incubo di qualche mese prima. Il 15 settembre, poi, l’Orcolat rilasciò nuovamente la sua energia alle 5:15 del mattino, con una scossa ancora più forte, di magnitudo 5.9, e poi alle 11:21 un’altra del sesto grado. La prima grande scossa che colpì la regione si verificò il 6 maggio 1976, con una magnitudo di 6,4 della scala Richter.

Tuttavia, il terremoto dell’11 settembre fu una delle repliche più forti, che aggravò ulteriormente la già precaria situazione. Le scosse si fecero sentire in tutta l’Italia settentrionale e, in particolare, nelle province di Udine e Pordenone, causando il crollo di molti edifici seminando nuovamente il terrore tra la popolazione. Le conseguenze furono devastanti, migliaia di case vennero distrutte, interi paesi rasi al suolo e circa 100.000 persone si ritrovarono senza tetto. I comuni più colpiti furono Gemona del Friuli, Venzone, Buia, Osoppo e Majano. Anche la rete infrastrutturale subì gravi danni, con strade e ferrovie interrotte.

La conta delle vittime fu tragica: il bilancio complessivo dei morti salì a 990, con oltre 3.000 feriti. Oltre alla distruzione materiale, il terremoto del Friuli ebbe un impatto profondo sulla vita sociale ed economica della regione. Tuttavia, ciò che seguì alla catastrofe fu altrettanto significativo. La ricostruzione del Friuli è infatti spesso ricordata come un esempio di efficienza e di cooperazione tra istituzioni e cittadini. Lo slogan “Dov’era, com’era” divenne il simbolo della volontà dei friulani di ricostruire i propri paesi mantenendo l’identità storica e culturale del territorio. Il processo di ricostruzione fu guidato da una forte coesione sociale e da un intervento rapido dello Stato, che permise di ricostruire gran parte dei paesi in tempi record. Una delle peculiarità di questa ricostruzione fu l’approccio decentralizzato: il governo nazionale affidò una grande parte della gestione delle operazioni alle autorità locali, consentendo alle comunità di prendere decisioni in modo autonomo e di partecipare attivamente alla rinascita del territorio.

Questo modello si rivelò estremamente efficace e venne poi preso ad esempio per altri eventi simili in Italia. Un altro aspetto importante fu l’attenzione alla prevenzione e alla messa in sicurezza degli edifici. Gli ingegneri e gli architetti coinvolti nel progetto di ricostruzione lavorarono per rendere le nuove abitazioni e le infrastrutture più resistenti ai terremoti, introducendo normative antisismiche all’avanguardia per l’epoca. I terremoti del Friuli del 1976 e la successiva ricostruzione hanno lasciato un’eredità profonda, sia in termini di consapevolezza sismica, sia per quanto riguarda la capacità di rispondere alle emergenze. L’evento rappresenta una lezione storica per l’Italia, che ha imparato a fare fronte alle catastrofi con maggiore prontezza ed efficacia.


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