Francesco si scusa dopo lo “slang” sui gay: Nella Chiesa c’è posto per tutti
“Nella Chiesa c’è troppa aria di frociaggine”: è bastata l’indiscrezione di Dagospia attribuita a Papa Francesco nell’incontro a porte chiuse con gli oltre 200 vescovi italiani che aveva aperto l’assemblea generale della Cei, per fare rumore sulla questione dei seminaristi omosessuali da tenere lontani dal mondo della religione cattolica. Come in tante occasioni, ove l’accelerazione mediatica guarda alla forma piuttosto che al contenuto, ha colpito il termine, più consono forse a qualche programma tv della fascia pomeridiana ove l’orientamento sessuale, con i suoi contorni gossippari, può diventare tema di dibattito per ore.
Dal Vaticano, ieri, le scuse di Francesco: “Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo”, per dire che “il papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri”.
Mentre in pochi hanno ricordato che Bergoglio, dall’inizio del suo pontificato 11 anni fa, aveva rivoluzionato la comunicazione della fede con parole di uso comune e persino colorite frasi del lunfardo, il dialetto ispanico del porto di Buenos Aires. Uno slang simile a quello di uno scaricatore di porto, insomma. Come era accaduto per invitare i sacerdoti ad una maggiore apertura, a “non mettere i bigodini alle pecore” delle quali però va conservato “l’odore”. O con i giovani, per “non balconear”, non stare alla finestra, immergendosi nelle cose facendo “ruido”, casino.
Un termine colorito per affrontare con determinazione una sostanza della posizione della Chiesa che non si è mai modificata rispetto a questo tema. Già un’istruzione del dicastero vaticano per il Clero del 2005, nel pontificato di Benedetto XVI era intervenuta ad avvertire che “la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.
Una istruzione ribadita dallo stesso papa 8 anni fa. Avvertimento non nuovo nella Cei che sta studiando la rimodulazione delle linee formative dei seminari, da sempre considerate determinanti per un corretto percorso dei candidati al sacerdozio. E che ora, con lo slang colorito di Francesco, taglia corto pure con la possibilità di restrizioni più sfumate, distinguendo tra “atti” e “tendenze”, emersa in un emendamento approvato nell’ultima assemblea dei vescovi ad Assisi, incoraggiati dalle passate aperture del papa sull’omosessualità.
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