Fra Pechino e Washington, ecco la nuova guerra fredda e ibrida
Ci avviamo verso una nuova guerra fredda e “privata”. In palio, però, non ci sarà il trionfo del comunismo o la vittoria del liberal-capitalismo. Ammesso e non concesso, sia chiaro, che la sfida tra Usa e Urss sia stato solo quello che la mitologia post-reaganiana ci ha consegnato. In ballo c’è il primato digitale e l’indipedenza tecnologica e sarà combattuta soprattutto, se non esclusivamente, dai campioni digitali delle superpotenze hi-tech del globo: Stati Uniti e Cina. E in caso di conflitto, a scegliere gli obiettivi da colpire, a decidere chi vive e chi potrebbe morire, potrebbe essere l’intelligenza artificiale.
È questo lo scenario tracciato dall’autorità garante della privacy che, nei giorni scorsi, ha presentato la Relazione 2023 a consuntivo di un anno di attività. Più che i numeri delle sanzioni e dei data breach registrati, che sono più che preoccupanti a testimonianza di un Paese, il nostro, che ha ancora tantissima strada da fare sul fronte della cybersicurezza, a preoccupare sono gli orizzonti ai quali ci affacciamo. “Ad oltre un anno dal ritorno, alle porte dell’Europa, dello spettro, drammatico e dimenticato, della guerra, il primato sul digitale e l’indipendenza tecnologica assumono un crescente valore strategico, anche dal punto di vista geopolitico”, ha spiegato il presidente dell’authority, Pasquale Stanzione, che ha definito “significativa l’ipotesi di divieto, al vaglio della Commissione Ue, di utilizzo delle tecnologie offerte da Huawei per lo sviluppo delle reti 5G”. Per il Garante: “Le limitazioni, imposte da alcuni governi, all’uso di piattaforme di origine cinese o il divieto statunitense di esportazione di materiale hi-tech sensibile verso Pechino esprimono anche la preoccupazione per la capacità di condizionamento, persino sotto il profilo militare, della tecnica”. I segni, come dicono quelli che la sanno lunga, sono per chi sa intenderli: “La guerra dei chip è, in fondo, solamente un’altra faccia della stessa, silente ma nettissima, contrapposizione tra Usa e Cina”, avverte Stanzione che aggiunge: “Sembra delinearsi una nuova, ma non meno temibile, guerra fredda, sempre più privatizzata e ibrida, come si è detto, per l’incidenza delle big tech nelle dinamiche belliche”.
Se c’è una cosa che abbiamo imparato, in questi 500 giorni di guerra tra Russia e Ucraina, è che Elon Musk, da solo, può decidere le sorti di un conflitto. E che un’azione di hacking informatico può produrre danni simili, negli effetti, a quelli di un bombardamento convenzionale. Ma sullo sfondo delle tensioni internazionali c’è (anche) l’irruzione delle neotecnologie, in particolare in campo militare, e dell’intelligenza artificiale: “Mentre sugli schermi scorrono le immagini, quasi antistoriche, di carri armati schierati tra trincee e confini contesi, cresce il non infondato timore di una delega all’algoritmo persino di quelle tragic choices che sono le scelte in materia militare, con sullo sfondo jet a guida autonoma e droni kamikaze”, spiega Stanzione che cita “il segretario generale delle Nazioni Unite” il quale “ha espresso preoccupazione per la potenziale applicazione dell’intelligenza artificiale nel settore delle armi, auspicando la definizione di alcune linee rosse”. Per il garante della privacy: “L’autonomia decisionale che taluni sistemi d’intelligenza artificiale sono pronti a sviluppare preoccupa dunque, anche in campo militare, soprattutto in uno scenario internazionale ancora dominato dalla guerra”.
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