Economia

Finita la telenovela dei diritti tv: la A resta a Dazn e Sky, furia Adl

di Giovanni Vasso -

AURELIO DE LAURENTIIS PRESIDENTE NAPOLI


La telenovela dei diritti tv del calcio è finita: l’assemblea della Lega di Serie A ha deciso di confermare il “matrimonio” con Dazn e Sky. A cui ha anche accordato uno sconto: per il prossimo quinquennio, i broadcaster pagheranno 900 milioni l’euro per ogni stagione invece dei 940 previsti dall’ultimo accordo. La telenovela, lunga e contrastata, è arrivata al suo epilogo. O no? Già, perché ogni telenovela che si rispetti ha i suoi protagonisti. E, soprattutto, i suoi antagonisti. Aurelio de Laurentiis, presidente del Napoli, non è affatto felice di come si sia conclusa la vicenda. Anzi. Era lui che spingeva per cambiare le cose, rivoluzionarle. E per tentare di strappare più soldi percorrendo strade finora poco battute. Una su tutte, quella del canale di Lega. Con l’ausilio di fondi stranieri, generosamente interessati a investire sul calcio tricolore. Tra di questi, se n’è parlato con insistenza, ci sarebbe stato anche il fondo Pif, il braccio finanziario dell’Arabia Saudita.

Ma tant’è. I club hanno deciso di tenere quello che già avevano. Di non percorrere le strade della novità. I diritti tv del calcio italiano rimangono in mano a Dazn e Sky che, per i prossimi cinque anni, si divideranno, come hanno fatto negli ultimi campionati, la “torta” del football nazionale. Urbano Cairo, presidente del Torino, ha spiegato le ragioni per cui i presidenti hanno deciso di scegliere la strada conservativa della conferma dell’accordo con i due broadcaster: “Oggi non era il caso di procedere con il canale della Serie A. Sono contento, i valori non sono quelli che ci aspettavamo ma è importante dare continuità ai rapporti con Sky e Dazn”. Per l’editore e patron del Toro: “Mettersi a fare televisione è un progetto affascinante, ma prima o poi devi vedere quali sono i numeri e se riesci a stare in piedi: noi abbiamo una attività che ha rischi importanti, aggiungere rischio a rischio è un errore. Continuiamo con loro, c’è un tema di pirateria che va fermata per un fatto morale”. Una carezza a De Laurentiis: “Stimo Aurelio, ma la penso diversamente e non credo che il calcio italiano morirà per questa scelta. L’accordo fino al 2029 era la base per raggiungere un accordo con Sky e Danz e la soglia può essere superata con revenue sharing: De Laurentiis ci dirà grazie”.

Già, perché il patron del Napoli ha suonato le campane a morto per il calcio italiano: “È una sconfitta per il calcio italiano, il calcio italiano morirà. Dazn non è competente e non fa bene al calcio italiano, come non lo fa Sky”. E poi ha tirato le orecchie alla miopia dei suoi colleghi: “Una stupidaggine di fare un accordo per 5 anni. In momenti di crisi cinema e calcio vanno fortissimi: sono panacea ai dolori del quotidiano, questo sogno l’abbiamo messo nel cassetto”. Finita qui? Macché: “Il problema è essere prenditore o imprenditore. L’imprenditore deve saper misurare l’area del rischio, è più comodo ma questo non implementerà mai il valore del calcio italiano”. A Cairo e agli altri saranno fischiate le orecchie: “Il valore del calcio italiano passa attraverso gli investimenti. Il calcio italiano pensa sempre di dover essere supportato da altri, ma è il tifoso il bene assoluto di un club di calcio. Il mio rapporto deve essere diretto con il tifoso, non diretto con Sky e Dazn, che secondo me non è competente. Non fa bene come non lo fa bene Sky al calcio italiano”.

Per Aurelio de Laurentiis, dunque, la telenovela non è finita bene. Ma non sarebbe tale senza un lieto fine che accontenta, nelle parole del presidente della Lega di A Lorenzo Casini, se non tutti quantomeno la stragrande maggioranza. “Finalmente il lieto fine”, ha spiegato Casini: “Si è proceduto ad accettare l’offerta formalizzata da Dazn e Sky con 17 voti favorevoli”. Su venti. In pratica, contro c’era quasi solo Adl: “Un lavoro molto intenso ha permesso alla Serie A di procedere compatta. È stato fondamentale partire in anticipo e arrivare a trattativa nelle migliori condizioni possibili. Grazie al lavoro delle squadre e ringraziamento a governo e Parlamento per aver migliorato il quadro normativo, penso alla durata da tre a cinque anni”. Quindi l’ammissione: “Il contesto che stiamo vivendo è complicato, a fronte di offerta ritenuta meritevole le squadre hanno preferito accettare”. Il calcio italiano, come noto, è alla canna del gas. Sommerso di debiti e langue nelle secche di bilanci e di sistemi istituzionali che impediscono ai club persino di poter costruirsi uno stadio da soli. E forse non è un caso se, ad alzare la voce e a tentar di scuotere gli altri sulla strada della novità, sia stato il presidente di uno dei club meno indebitati e più finanziariamente solidi dell’intera Serie A.

La telenovela dei diritti tv del calcio italiano, che si trascinava ormai da mesi, è giunta alla parola fine. Cala il sipario su fondi, iniziative autoprodotte, canali ufficiali. Il pallone, in fondo, non è altro che lo specchio del Paese che deve vendere i suoi asset e non sempre ci riesce. E l’Italia preferisce adottare un approccio conservativo. Meglio perdere quaranta milioni l’anno oggi che imbarcarsi in chissà quale avventura domani.


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