Economia

Tramontate, Stelle: è morto il fine dining?

di Giovanni Vasso -


Tramontate, stelle: è morto il fine dining?. È finita l’era dei ristoranti pluripremiati, degli chef superstar, delle “esperienze” gastronomiche? Il dibattito sulla sorte del fine dining è aperto, altroché. E non solo perché l’ha sollevato la pluripremiata serie Disney di The Bear. Sta succedendo, infatti, e sta avvenendo anche in Italia, che sempre più presidi di alta ristorazione stiano chiudendo i battenti. E pare un controsenso nell’epoca in cui gli chef sono presenze fisse in tv e, sui social, i contenuti legati al cibo fanno incetta di clic, like e reazioni. Eppure succede. Perché i costi sono alti e proporre menu a prezzi non proprio abbordabilissimi non è da tutti. I clienti scappano. Saremo anche una società signorile di massa, come preconizzato dal sociologo Luca Ricolfi e come ribadito dal ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti, epperò sempre più spesso ci si affida ai ready-made del fusion, agli epigoni di Duchamp e dei maestri del sushi che cavalcano mode e gusti nuovi fatturando grazie all’asporto, alla giga-economy e ai rider, piuttosto che spendere (non solo per il conto, vorreste mica presentarvi a Villa Crespi in blue jeans?) per una cena stellata.

Ma gli chef e i volti noti del food non sono tutti d’accordo. C’è chi, come l’italoamericano esigentissimo Joe Bastianich, suona il de profundis: “Il fine dining è morto – ha affermato in un’intervista rilasciata al Gambero Rosso -, non è più sostenibile sia per il costo del cibo che del personale, la gente normale non può più permettersi i grandi ristoranti, va dove trova soddisfazione al prezzo giusto”. Insomma, un vero e proprio film-di-orore. Ma Joe Bastianich è uno di quelli che la sa lunga e dopo una non proprio lusinghiera carriera musicale di cui ci si è accorti in pochi è tornato alla ristorazione: “L’alternativa è un format che abbia ottima qualità e prezzi popolari, dove ci fai anche un pasto completo”. E lui, infatti, ha aperto un locale che fa smash-burger in pieno centro a Milano. Il suo ex collega di Masterchef, il bel tenebroso dei fornelli Carlo Cracco, invece ha idee diametralmente opposte. Per lui, come ha riferito a Fine Dining Lovers, “fin quando ci saranno tanti ragazzi giovani in cucina, il fine dining avrà sempre un futuro: è quello che fa la differenza, non il cliente”. E non è così per dire: Cracco ci crede al punto da aver lanciato, proprio in queste settimane, il suo nuovo locale superesclusivo. Si chiama “Terra” e si trova a Londra. Inoltre, il fatto di aver sottolineato che i giovani continuano ad affollare le mail dei ristoranti con le loro richieste di stage e assunzioni sembra disinnescare un altro, grandissimo, tema legato all’alta ristorazione ossia le condizioni di lavoro proibitive (a dir poco, secondo quanto raccontano diversi “pentiti” in libri, interviste e mattinate passate al bar) nelle brigate di cucina stellate.  

I top player della ristorazione si dividono. Alain Ducasse, leggenda dell’haute cuisine da 21 stelle Michelin in carriera, non ritiene che sia giunto il momento di mettersi a friggere patatine e, anzi, ribalta la narrazione: “Viaggio molto – ha affermato in una recente intervista rilasciata a The Observer – e ho scoperto che stanno aprendo un bel po’ di ristoranti d’alta cucina, la ristorazione sta virando sempre di più verso un approccio raffinato”. L’attuale numero uno al mondo, lo chef peruviano Virgilio Martinez, invece ritiene che il fine dining sia finito, sorpassato dai tempi, che si parli di un concetto obsoleto come una vecchia Vhs e ritiene che sia giunto il momento di preferire la sperimentazione, gli approcci innovativi alle tradizioni morenti. Insomma, Martinez, identificando come fine dining le vecchie cucine che ancora preparano anatra all’arancia e filetto alla Wellington, ritiene che l’alta cucina possa trovare nuova linfa dall’armamentario (anche ideologico, per carità) della contaminazione e delle scelte strategiche economiche al risparmio, in nome di riciclo e circolarità.

Il dibattito sulla sorte del fine-dining è aperto. I costi pesano su tutti. Ma, forse, è soprattutto una questione di mercato. L’alta ristorazione non può essere popolare, dunque non possono spuntare, manco fossero rosticcerie e pizze al taglio nella profonda provincia italiana, concept restaurant o templi del gourmet. Perché mancano i clienti. Oggi più che mai.


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